Sereo eoi limbte, olifar mosere noibidung fregifis. Resemel, zezetiuop.
20041225
Perc
20041218
Che
Domani non so se potrò e che potrò. A. mi dice bugie, V. mi dice bugie, M. mi dice bugie e, ovvio, pure E. mi ha detto bugie. Io sono stanco di sentirmi mentire, conoscere tutta la verità e far finta di non capirla per salvare il loro imbarazzo. Non posso e non posso accettare altre bugie. Ah, come urlerei ora e qui, fuori da questa finestra che mi secca le cornee urlerei come un dissennato, finalmente, per segnare le strade e gli incoroci della mia rabbia; talmente triste! Talmente triste che è questa delusione, talmente triste che è la delusione. Dovevo dire tristezza piuttosto che delusione. Era la tristezza. Ho pure paura che succeda qualcosa di insignificante che infine mi faccia perdere il senso. L’ultima cosa piccola che mi riduca a che schifo dopo aver saputo resistere agli schiaffoni sulle gote. A chi mi rivolgo? Ormai lo conosco questo senso di non poter dire e non poter fare, sapere di andarsene a letto e togliersi i calzini, sicuri che bisogna sperare nel tempo che passi e ti si faccia amico ad occuparsi delle tue ferite. Ora decido che non parlo più parole perché se nessuno capisce è meglio zittirsi e trovarsi un altro linguaggio. Di parole inventate magari, o di immagini. Una cosa che almeno sia agevole per sé, chè è inutile farsi capire se a nessuno importa.
20041216
20041212
knight

knight limbte.
La stanza è sempre buia in questo periodo, anche di mattina, e forse è la penombra che sa di tempo. Non ho voglia di ricordare della mia escursione nel sottosuolo di Milano perchè i fatti che avvengono e non avvengono allo scoperto sulle strade chiamano e richiamano immaginazione. M. non ha risposto alla mia scusa con un silenzio deluso. Milano si ignora tutto intorno e a camminare viene triste, mentre stanno tutti intorno nel raggio a lavorare qualcosa. Mi pare di essere rimasto di guardia al magazzino delle cose qui. C'è un magazzino di cose di paglia su cui oggi piove bene, piove pure sui panni stesi dal di là del cortile, mentre lei non è in casa e una sola finestra è sprangata. Mi pare che quello che faccio sia necessario, perchè resti qualche cosa di queste mattine che nessuno vede. La prostituta del piano terra oggi dorme e la sua lucciola è spenta con lo stoppino sempre annegato nella cera secca. Non so perchè non saluti nessuno ma a me piace che lei abiti qui. In conti abito in una torre muta, di quattro piani ritorti con un cortile in mezzo e nessuno qui sa per minimo come parlarne o disegnarne.
20041206
city

city limbte.
Una mattina mi sveglio e accendo il computer per la musica. Come d'abitudine leggo il corriere online; la pagina non si carica. Cambio indirizzo, vado su repubblica ma non succede nulla, provo su un sito americano, non succede nulla. Accendo la televisione ma nessun canale è sintonizzato. Neanche la posta arriva. Apro la porta d'ingresso per cercare non so cosa ma tutte le porte sono spalancate sul pianerottolo e gli appartamenti vuoti. Ritorno dentro e vado al telefono già sicuro di trovare un tono muto. Mi dirigo verso il balcone, apro la portafinestra e tutto intorno non c'è nessuno; hanno abbandonato tutto in fretta, lasciando i panni stesi e le porte aperte come avessero saputo di non tornare mai più. Non so per che motivo mi siedo per terra sul pavimento del balcone a guardare da dietro alle sbarre della ringhiera il mio cortile vuoto. Non si sente il rombo del motore dell'autobus che accelera in curva e nessun rumore proviene dal cantiere di uno degli appartamenti sul cortile. Mi alzo e mi vesto in fretta, appena fuori mi chiedo se chiudere la porta, la mia sarà l'unica chiusa della città . In via Binda non c'è il consueto movimento, l'incrocio con via Watt è deserto e alcune macchine sono state abbandonate con gli sportelli aperti in mezzo alla via, il bar è ancora chiuso. Mi prende all'improvviso la nausea e mi fermo a respirare profondamente solo l'aria che è rimasta quella di ieri. Ho voglia di chiamare i miei familiari, vorrei sapere da loro cosa è successo questa notte, il cellulare, lo accendo, il segnale c'è, mio fratello non risponde, i miei genitori, spenti.
Ora posso solo immaginare cosa farò. Posso immaginare che camminerò per la città alla ricerca di qualcuno rimasto per chiedergli perchè lui e perchè.
20041205
da dove
20041204
lamp
20041202
è lì
20041129
20041128
Deve
Ecco, ho inventato una scusa. E ora che sono tutto, solo, solo per me, solo per sé, guardo e mi guardo, guardo e mi guardo, guardo, guardo fuori da qui e guardo. Guardo e non parlo mai, guardo solo con le orecchie e con le mani, guardo e non dico guardo e non dico guardo e non dico. La mia vicina scende per le scale, sento i tacchi sui gradini. Credo che mi piacerebbe aprire la porta e intercettarla per offrirle un tè. Chi sei, le chiederei, chi sei le chiederei lei si presenta ogni volta che ci incrociamo e ogni volta mi propone crostate da vicina con gli occhi. Oggi la intercetto sul pianerottolo. I piedi freddi e i piatti puliti stesi ad asciugare sul marmo della cucina, ascolto il pomeriggio che si chiude quassù, sopra il cortile, e registro come su un nastro i minuti di guardo. Guardo guardo guardo guardo. I piatti puliti stesi sul marmo ad asciugarsi fanno dei bei riflessi scuri di tempo e sono impregnati già d’ora del futuro ricordo. So che ricorderò questo pomeriggio e lo metterò nella storia, fra i nastri registrati ad asciugare fra i nastri registrati ad asciugare. Stendo il ricordo del minuto fa e lo metto davanti al ricordo del minuti fa, già mi vedo. Dove sarò fra un anno e quando? Non succede nulla fra un anno e di chi mi sarò innamorato quella volta? Sono sicuro che quella volta sarò innamorato e forse rinverrò com’era l’amore e com’era l’amare. Com’era svegliarsi felici? Com’era desiderare di incontrarsi? Com’era vivere per una? Com’era fare per una? Come era scordarsi di me? Com’era fra un anno? Com’era fra un anni? Com’era bello fra un anno, com’era luce fra un anno, com’era bella fra un anno, come sei bella fra un anno. Questa volta c’è Philip Glass a dirmi cosa devo fare. Ci sono tutti questi uomini generosi che suonano e si sbracciano a spiegarmi la vita. Lo fanno dovunque io sia dentro all’ipod, non so per chè vocazione si dedicano a me e ai miei fatti. Se guardo una cosa e non capisco si consumano a spiegarmela e a dargliene un senso, che siano le facce o che siano i morti. Mi volto indietro e mi accorgo che la stanza è completamente buia ad eccezione del lieve rettangolo della finestra bianca eppure qui è popolato dei miei colori e delle mie creazioni di mente tutte luminose di tutte le ore del giorno a tutti i chiari. Io ora faccio come i musicisti miei amici, non so per che vocazione m’infilo nei rovi a spiegare le cose e a fare sensi.
20041121
Funi
P.
20041115
lamp

lamp limbte.
L'amore non è mai appropriato. C'è quell'intreccio che è sempre sbagliato, sempre storto e cadente. Come quando uno bacia quell'altra e si sporge su di lei fino a toccarla; per baciarla deve divincolarsi dal su due piedi, deve sbilanciare e deve tirare fuori insincere forze che non gli appartengono, che non sono sue di niente: non sono e non sono del noi di ogni minuto. Uno, o quello forse, direbbe che il luccicare del bacio è il luccicare sincero finalemente di di per sè detta essenza phantom, ma la norma, la norma è che quel bright sight non è del nostro: il nostro è vile ipnotismo di abitudini da insetto, decisioni prese ad annusare. Non c'è mirare nè miracoli, c'è solo che a volte ci travolgiamo di cocci che vengono nè di dentro nè da fuori; chè fuori o dentro non è in nessun posto. Ama sbaglia e non capisci e batti sulla tua natura da idealizzare nascondendo e non capendo, rinvieni e sotterra, non capisci e passa diritto come qui su questi lettri; forse spera forte di capire per probabilità , per dono di silenzio. Addormenta sul silenzio! Di rabbiae e dispera.
20041114
20041112
lim
20041109
20041107
20041105
rosa

rosa limbte.
Rose nere ci sono rose. Stamattina era sempre come essere assetati ma sul punto di morire, mai di morire abbastanza; volere morire per versarsi ma riempirsi mai a sufficienza. Deve esserci una legge misteriosa che sovverte il pieno e il vuoto per cui di felicità te ne manca sempre e sempre. Capisci che essere felici non é cumulativo: gioia non si aggiunge a gioia e strati di abbraccio non fanno tutti gli abbracci. Dopo passato oltre, era chiaro che rimanere là non mi avrebbe tolto i desideri, che non era il tempo da aggiungersi per saziarsi ma era la natura dei contatti da cercare chissà dove e chissà dove.
20041101
guard

guard limbte.
Torno dai ritorno, sui navigli da nostalgie a girare sul rivoli di rondini che a scaldarmi in casa, sordo di felce, mi getto in piano pianto a guardare di là dei vetri. Chè piove; ad aspettare piove da non dire, lento e pianto. Solo tu che ti guardo forse mai che ti veda, vieni ibi e confortami i, di, i si.
20041031
vis

vis limbte.
Ci sono meno pescettii che nuotano nel mare
Dei bacetti che le darei
Quanti bacetti, quanti bacetti che mi mancano, quanti pescetti che mi baciano. E milioni di abbracci appiccicato così, zitto così. Che senza di lui è impossibile e che senza di lei è impossibile. Baci sulla bocca, nelle sue braccia. Andasse da lui. Andasse da lei. Gli abracci saranno. E di finirla con questa storia che tu vivi fuori da me, quanti pescetti, e quanti bacettii, ti direi quante cose zitte; in milioni di si e in milioni di ci.
20041027
limbte
20041025
Sheikh Coast
ho progettato bellissimi giocattoli giganti dalla forma allegramente ieratica ad uso di piccoli in villeggiatura egiziana; il pavimento è tutt'uno con le pareti e le finestre occhieggiano di misteri alle piccole menti. L'ho fatto durante tutta la settimana che è finita su commissione dello Studio per cui lavoro e così di studio scritto in minuscolo, nulla. Di passaggio alla F. mi sono portato dietro un Foucault, Le parole e le cose, che per ora mugola promettente. Spero di fare qualcosa per il prossimo giovedì ma più probabilmente sarà per il successivo. Lei mi faccia sapere comunque dei suoi programmi e io la terrò informata sui miei.
Saluti,
20041023
20041019
20041018
20041017
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20040930
20040929
A volte il
20040928
Del treno

Del treno ho solo un ricordo, non so dove siano la ragazza contro marcia e il suo fidanzato che poi lei dice: solo amici. E non so dove sia il libro scritto di già letto. Quel viaggio si è ridotto e sta anche lui nel presente tutt'uno a quel che tento di dire all'oggi. Il treno si muove ancora ed è fermo e ancora e qui ora ci sono tutti e tutti i amori desiderati dei giorni seduti qui intorno. Solo il domani mi pare abbia un qualche senso: la combinazione delle permanenze al presente inspiegabili ma uniche con qualche consistenza di ragione causale. Io so perfettamente cosa dico, mi si chiedano spiegazioni necessarie se. Sì, davvero, è solo il domani che ha valore perché vive nei sogni e nel domani io mi proietto davvero. Solo nel domani io vivo in potenza e in essenza. Nel mio immaginare i domani ci sono io davvero o perlomeno quella parte di me che io tento salvabile; nel progettare domani io solo esisto tutto solo il domani è la si rielaborazione creativa del mio desiderato. Nei sogni di domani, forse solo lì, il mio pensiero è puro e in tutta la sua potenza si tenta di plasmare il presente che non appena condensa nella misteriosa permanenza viene risucchiato nella gravità delle dimensioni raggomitolate della teoria delle stringhe forse. Nel futuro sognato io davvero esisto ed esistono i sessi e i sessi che ho immaginato svenente. Il mio pensiero esiste solo nel domani e nel passato s'inganna.
limbte
Questa mattina mi
20040927
Prendo la pentola piccola, dentro il mobile basso
E intanto penso: ho subito un trauma, un vero trauma; come una grossa, dura, botta in testa. L’ho subito proprio come un colpo violento; perdendo i sensi e poi la coscienza. Subendo l’effetto silenzioso dell’ematoma crescente e nascosto. Mi rendo conto di quanto grande fosse E. per me, misurando questo stordimento.
Questo lo tengo per me; non lo scrivo. Mi avvolgo in questa scoperta. E., la mia ragazza ideale.
«Buonanotte», mi dice la scritta sulla scatola di camomilla.
Marzo 2003
20040926
Sempre sul
20040925
Insomma io ero di notte
Insomma io ero di notte a rigirarmi in quel letto lercio che solo a ripensarci mi schifo e la mattina dopo sono uscito presto a cercarmene un altro. Ma non stavo bene, e non era per il letto. Era che mi si condensavano i ricordi pensieri e andavo in giro a desiderare troppo. Nei saligiù di L. faceva caldo e io speravo almeno lì di non dover dissimulare la solitudine, come faccio a M., anche lì fra turisti sfaccendati dovevo accelerare il passo e fingere una destinazione che non c’era. Anche la città di L. precipita verso l’appiattimento antiduale. Vicino al Faial e sul Pico, invece, mi pareva di poter sognare ritiri tranquilli in cui la solitudine non è malvista e, anzi, pare naturale, dovuta. Ma anche là forse non mi vedevo bene intorno; ero dentro ai tentativi di capire tutt’ingiro; a guardare, negli occhi di tutte, a capire e non capivo. Solo la natura potente, anche umana, mi sapeva attirare in superficie. Ho vista un generatore di energia marina che tirava fuori gli ululati dalle onde. Un parallelepipedo cieco di armato cemento, con due porte stagne di ruggine su un fianco, aggrappato sugli scogli neri, grondante di ossidi e di salsedine. Ad ogni onda, una turbìna lì dentro suffiava e si vaporizzava in un acuto grave quanto un Ade e lì lo guardavo con la bocca aperta e gli occhi socchiusi dietro al cielo grigio. Un mostro potente che parla e mugghia alla mia natura di simboli atavici di cui voglio raccontare ora qui. Sono stato un po’ di tempo lì davanti a vedere e a girare e rimanevo sottocielo con la mente silenziosa a respirare. Intanto rimuginavo di questo che era già scritto e. Intorno stavano M. e G. e H. e solo ora so che non hanno importanza ma io le guardavo a capirle come oggi F. sulla spiaggia che stava distesa come un anno fa sarei impazzito e io l’ho ignorata. Il muratore albanese accanto alla ragazza in fronte marcia mi ha raccontato di quando in gommone ha attraversato l’Adriatico cinque anni fa. A febbraio di notte l’hanno scaricato con l’acqua fino al petto e lui sulla riva. Ora dice di fare il carpentiere ma è manovale; l’ha fatto solo una volta il carpentiere ora fa il manovale ma guadagna bene. È contento della paga, dice, e videotelefona alla sorella. Si vanta di lavorare dieci ore al giorno e ha ragione, coi bergamaschi stakanovisti. Si alza alle cinque e con le mani gelate fa anche cento viaggi al giorno con le macerie e poi scarica il camion anche. Non so perché ho voluto cancellarlo per sempre come a volte faccio con voluttà con le persone e con le cose anche. Quando sono sceso dal treno: magari ci si becca a M., mi ha detto e io, magari sì. Ma niente numero. Come ho lasciato perdere per sempre i miei disegni del bolide sugli scogli neri. Li ho lasciati lì dove li ho fatti, pregustando la loro distruzione definitiva, istantanea nel momento della mia partenza; una sfida alla misteriosa permanenza. Sono come i disegni di Sotsass mi ha detto V. e tutti li ricordano ma non esistono più mentre io mi annego nel fatto che li ricordo: una sfida davvero dolce alla crema di fragola, appiccicosa e dolce, e rosa. Non ho detto che con il manovale albanese stava il cugino; seduto accanto in contro marcia. Questo ragazzo aveva una silenziosa peculiarità: di avere la bocca serrata. Tiranti d’acciaio gli si ancoravano ai denti perché la mascella gli si potesse guarire.
limbte
20040924
20040921
20040920
Mi si arro
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