Sereo eoi limbte, olifar mosere noibidung fregifis. Resemel, zezetiuop.

20041225

Perc

Percorro la via pestalozzi e raggiungo il naviglio grande in cui è tornata a scorrere acqua. Mi fermo sul ponticello davanti alla chiesa di s.c e guardo prima dalla parte del ponte ferroviario fermo e poi verso la periferia con i capannoni richard-ginori abbandonati da una parte e i Circoli Canottieri dall’altra e i ponti deserti delle tangenziali in fondo. Non c’è nessuno e nessun rumore, Milano è morta e io sono il superstite riflesso sull’acqua del naviglio.

20041218

Che

Che delusione di delusione e delusione. Non si muove, morta in fondo all’immaginazione. Ormai vivo in questo fango di speranze deluse e di sogni sporcati. Più sogno e più mi annego in grassa argilla lacrimosa e nera. Io cretino che ogni volta mi ridesto al capo, e sempre mi piove addosso un fango pesante che è più che pioggia e meno che brutto. Il sole che mi invento ogni giorno a pensare e ridire poi si spegne con chissà di chi cattiveria; inspiegabile come cocciopesto al vino. Senza motivo come una cosa immobile, viva di morte: eterna; ormai che so vedere le cose senza il tempo, pure di questi sentimenti disgraziati ne faccio monumenti che si svelano arcigni di cocciute e stolide cattiverie. Che delusione, che delusione credere d’essere amato e scoprire di non valere nulla più dei panni bagnati. Ormai mi domando da dove tragga le forze per non piangere come un novenne ad ogni faccia a terra, faccia giù! Faccia al vento a che ci possiamo pisciare in fronte! Io mi ricordo delle zuffe di cuore del mio amico P. e mi domando perché pure a lui questi trattamenti. Io per vendetta di lui non mi farò abbattere e arriverò, capirò come poter brillare sereno. Arriverò e mi chiedo perché e che ho fatto che sono tanto stupido. Che sono tanto stupido, che sono tanto stupido. Che sono tanto stupido.
Domani non so se potrò e che potrò. A. mi dice bugie, V. mi dice bugie, M. mi dice bugie e, ovvio, pure E. mi ha detto bugie. Io sono stanco di sentirmi mentire, conoscere tutta la verità e far finta di non capirla per salvare il loro imbarazzo. Non posso e non posso accettare altre bugie. Ah, come urlerei ora e qui, fuori da questa finestra che mi secca le cornee urlerei come un dissennato, finalmente, per segnare le strade e gli incoroci della mia rabbia; talmente triste! Talmente triste che è questa delusione, talmente triste che è la delusione. Dovevo dire tristezza piuttosto che delusione. Era la tristezza. Ho pure paura che succeda qualcosa di insignificante che infine mi faccia perdere il senso. L’ultima cosa piccola che mi riduca a che schifo dopo aver saputo resistere agli schiaffoni sulle gote. A chi mi rivolgo? Ormai lo conosco questo senso di non poter dire e non poter fare, sapere di andarsene a letto e togliersi i calzini, sicuri che bisogna sperare nel tempo che passi e ti si faccia amico ad occuparsi delle tue ferite. Ora decido che non parlo più parole perché se nessuno capisce è meglio zittirsi e trovarsi un altro linguaggio. Di parole inventate magari, o di immagini. Una cosa che almeno sia agevole per sé, chè è inutile farsi capire se a nessuno importa.

20041216

20041212

knight


knight limbte.

La stanza è sempre buia in questo periodo, anche di mattina, e forse è la penombra che sa di tempo. Non ho voglia di ricordare della mia escursione nel sottosuolo di Milano perchè i fatti che avvengono e non avvengono allo scoperto sulle strade chiamano e richiamano immaginazione. M. non ha risposto alla mia scusa con un silenzio deluso. Milano si ignora tutto intorno e a camminare viene triste, mentre stanno tutti intorno nel raggio a lavorare qualcosa. Mi pare di essere rimasto di guardia al magazzino delle cose qui. C'è un magazzino di cose di paglia su cui oggi piove bene, piove pure sui panni stesi dal di là  del cortile, mentre lei non è in casa e una sola finestra è sprangata. Mi pare che quello che faccio sia necessario, perchè resti qualche cosa di queste mattine che nessuno vede. La prostituta del piano terra oggi dorme e la sua lucciola è spenta con lo stoppino sempre annegato nella cera secca. Non so perchè non saluti nessuno ma a me piace che lei abiti qui. In conti abito in una torre muta, di quattro piani ritorti con un cortile in mezzo e nessuno qui sa per minimo come parlarne o disegnarne.

20041206

city


city limbte.

Una mattina mi sveglio e accendo il computer per la musica. Come d'abitudine leggo il corriere online; la pagina non si carica. Cambio indirizzo, vado su repubblica ma non succede nulla, provo su un sito americano, non succede nulla. Accendo la televisione ma nessun canale è sintonizzato. Neanche la posta arriva. Apro la porta d'ingresso per cercare non so cosa ma tutte le porte sono spalancate sul pianerottolo e gli appartamenti vuoti. Ritorno dentro e vado al telefono già  sicuro di trovare un tono muto. Mi dirigo verso il balcone, apro la portafinestra e tutto intorno non c'è nessuno; hanno abbandonato tutto in fretta, lasciando i panni stesi e le porte aperte come avessero saputo di non tornare mai più. Non so per che motivo mi siedo per terra sul pavimento del balcone a guardare da dietro alle sbarre della ringhiera il mio cortile vuoto. Non si sente il rombo del motore dell'autobus che accelera in curva e nessun rumore proviene dal cantiere di uno degli appartamenti sul cortile. Mi alzo e mi vesto in fretta, appena fuori mi chiedo se chiudere la porta, la mia sarà l'unica chiusa della città . In via Binda non c'è il consueto movimento, l'incrocio con via Watt è deserto e alcune macchine sono state abbandonate con gli sportelli aperti in mezzo alla via, il bar è ancora chiuso. Mi prende all'improvviso la nausea e mi fermo a respirare profondamente solo l'aria che è rimasta quella di ieri. Ho voglia di chiamare i miei familiari, vorrei sapere da loro cosa è successo questa notte, il cellulare, lo accendo, il segnale c'è, mio fratello non risponde, i miei genitori, spenti.
Ora posso solo immaginare cosa farò. Posso immaginare che camminerò per la città alla ricerca di qualcuno rimasto per chiedergli perchè lui e perchè.

20041205

da dove

Oggi ho incontrato P.; da dove veniva P.? Da dove veniva P.? Da dove veniva p? e ora sono annichilito nella paura che lei si sciolga nella nebulosa da cui è provenuta. “Da dove arrivi”, le avrei detto, “che ci fai nella mia isola?” ancora non ricordo il momento in cui è comparsa. Nella paralisi di ora ripenso al ripenso e non so se credere che le parole imbambolate dette oggi possano restare le uniche cose fatte. Io come al solito mi espongo temerario, mi metto a declamare dal davanzale, a torso nudo, con la canottiera a roteare fra le dita e mi pare di essere sempre ridicolo. Sono sempre quel bambino timido dei nove anni, che imbrogliava e si imbrogliava fra le altalene e dietro alle cattedre per non farsi capire; col terrore di essere compreso e nella brama di venire capito finalemente, nella magia irragionevole che allora sarebbe stata per magia davvero. Ora mi guardo e riguardo, aggrappato alla poltrona a chiedermi che mignolo muovere. Che unghia muovere? E in questo mi ripeto segretemente di non abbandonarmi, di rimanere ben saldo ai miei giorni grigi di solitudo. Pensando che sui miei quaderni c’è una parola scritta da lei, solo per quello, capisco che qualcosa è successo davvero e che non è stato solo un sogno, uno dei miei tanti. Mi commuove la mia ingenua bambineria incapace. Certo, anche che lei abbia un foglio staccato da lì su cui io ho scritto poche lettere, tredici. E se qualcosa rimane di oggi, sarà un vero miracolo. Sto immobile e non so che pelo muovere, nell’impossibilità di capire se si è trattato di un prodigio o se un incidente delle mie solitarie. Dove guardo, dove vado, dove guardo, dove vo.

20041204

lamp

La diceria che il cane remigiga zenito, non l’ho mai creduta e con lei nessuna delle sorelle. La cosa importante qui è solo il dire per il dire. La vera scoperta è che le parole posseggono un legame diretto con la carne. Nella scelta, nella sequenza, nella disposizione, c’è l’impronta del corpo. Pure per dire l’ora che ritorno a casa, o se ti amo, tu senti sempre il mio del mio. È così per tutto, pure per come prendi in mano la teiera e ti muovi nella stanza da bagno.

20041202

è lì

Dopo qualche giorno, il rumore di fondo di questi sentimenti rimane a inumidire tutto intorno e dentro. Non saprò mai se quello che è accaduto sia stato vero; non lo saprò mai. Forse vale la pena divertirsi a raccontare dei cunicoli maledetti che si intrecciano sotto la stazione Centrale FS della metropolitana di Milano. La Stazione Centrale possiede molto evidentemente un carattere esoterico e fortemente simbolico. Le creature di una mitologia fantasiosa e oscura ne popolano fregi e doccioni eppure queste non sono altro che innocuo simulacro di una gaia fantasia architettonica. Il centro del Male, non si trova infatti nelle sue viscere e gli oscuri rimandi sulle tarsie dei pavimenti non coprono che indifesi magazzini ormai abbandonati e non troppo sudici: rinsecchiti del torbido dagli anni in disuso e dall’essere vuoti di vita, memori di commerci ormai in ricordo. Perché è la vita che è gravida del male e non la polvere delle cantine. Così è per la stazione della linea due della metropolitana; sotto la piazza, non sotto la stazione; è lì che si annida il mistero misterioso. C’è una porta appena sotto uno dei box contententi la fettuccia antincendio che si apre su una scala di roccia, con i gradini, dal settimo in giù, scolpiti a forma di teste d’animale. Le teste non sono oscuramente allegre come quelle che si affacciano sulla soprastante stazione: queste sono terrifiche davvero e a metterci i piedi sopra ti credi che un crepaccio ti morsichi un polpaccio. Io sono sceso senza vedere nulla anche se sapevo tutto, chè il male parla sempre con i suoi piccoli ed è per questo che la maniglia l’ho girata tremante. Arrivato alla base della scala c’è un corridoio tutto rivestito di pietra. Io immagino, devo immaginare che quelle pareti siano rivestite da lastre di pietra ma fatto stà che di quelle lastre non ho visto soluzione di continuità e, seppure mi è difficile crederlo, quel corridoio pareva scavato in un unico sterminato blocco di basalto igneo. Il corridoio retto è spesso interrotto da pieghe ad angolo ottuso; alla fine si apre una grande sala a forma di doppio triangolo e lì, al centro di quella stanza, proprio nel mezzo c’è un foro da cui spunta una pertica. Se la tocco ondeggia leggermente e mai fino a toccare il bordo del foro stretto. Si comporta come un corto bastone conficcato fermo nel terreno; solo che di quella pertica non si vede mai l’inizio. Io toccavo la pertica con la punta d’un dito e mi accorgevo in quell’istante del silenzio che c’era lì, fra gli spigoli contrapposti della stanza di pietra. Tanto che il Duca D’Aosta, la piazza, era impossibile e sotto al suo lastricato, sotto la piazza, c'era[...]. Mi sono scostato e mi sono chiesto come fosse possibile e perché tanta bellezza fosse decomposta e rovesciata sotto la città di Milano, così bella. Io camminavo là sotto e capivo che quel buio non era il rifugio di un branco di miseri sbandati che clandestinamente si erano attrezzati la gelida cappella; quel corridoio e quelli che ho scoperti dopo sono stati progettati fin dall’inizio, sono stati costruiti dall’autorità laica senza che io ne potessi capire le ragioni.

20041129

20041128

Deve

Deve essere questa delusione liquida che mi fa vivere così, a infilarmi nei tunnel e nei sottosuoli. È un vapore denso che si aggira dalle parti dello sterno e mi fa chiedere perché non accendo mai il telefono questa mattina. Mi chiamerà M. e vorrà uscire con me io le dirò di sì e dovrò distrarmi dalla contemplazione del mio vapore sotto il petto e dal tentativo di capire perché il respiro si accorda così ben adagiato con il battere un po’ cupo della valvola cardiaca. C’è un aria perfetta di luce oggi per rimanere in casa; ma questo posso confessarglielo? Mi capirà senza piangere? Io le direi di venire qui a fare due chiacchiere ma le ragazze non capiscono mai e così le scappo e spengo tutto; a costo di sparire.
Ecco, ho inventato una scusa. E ora che sono tutto, solo, solo per me, solo per sé, guardo e mi guardo, guardo e mi guardo, guardo, guardo fuori da qui e guardo. Guardo e non parlo mai, guardo solo con le orecchie e con le mani, guardo e non dico guardo e non dico guardo e non dico. La mia vicina scende per le scale, sento i tacchi sui gradini. Credo che mi piacerebbe aprire la porta e intercettarla per offrirle un tè. Chi sei, le chiederei, chi sei le chiederei lei si presenta ogni volta che ci incrociamo e ogni volta mi propone crostate da vicina con gli occhi. Oggi la intercetto sul pianerottolo. I piedi freddi e i piatti puliti stesi ad asciugare sul marmo della cucina, ascolto il pomeriggio che si chiude quassù, sopra il cortile, e registro come su un nastro i minuti di guardo. Guardo guardo guardo guardo. I piatti puliti stesi sul marmo ad asciugarsi fanno dei bei riflessi scuri di tempo e sono impregnati già d’ora del futuro ricordo. So che ricorderò questo pomeriggio e lo metterò nella storia, fra i nastri registrati ad asciugare fra i nastri registrati ad asciugare. Stendo il ricordo del minuto fa e lo metto davanti al ricordo del minuti fa, già mi vedo. Dove sarò fra un anno e quando? Non succede nulla fra un anno e di chi mi sarò innamorato quella volta? Sono sicuro che quella volta sarò innamorato e forse rinverrò com’era l’amore e com’era l’amare. Com’era svegliarsi felici? Com’era desiderare di incontrarsi? Com’era vivere per una? Com’era fare per una? Come era scordarsi di me? Com’era fra un anno? Com’era fra un anni? Com’era bello fra un anno, com’era luce fra un anno, com’era bella fra un anno, come sei bella fra un anno. Questa volta c’è Philip Glass a dirmi cosa devo fare. Ci sono tutti questi uomini generosi che suonano e si sbracciano a spiegarmi la vita. Lo fanno dovunque io sia dentro all’ipod, non so per chè vocazione si dedicano a me e ai miei fatti. Se guardo una cosa e non capisco si consumano a spiegarmela e a dargliene un senso, che siano le facce o che siano i morti. Mi volto indietro e mi accorgo che la stanza è completamente buia ad eccezione del lieve rettangolo della finestra bianca eppure qui è popolato dei miei colori e delle mie creazioni di mente tutte luminose di tutte le ore del giorno a tutti i chiari. Io ora faccio come i musicisti miei amici, non so per che vocazione m’infilo nei rovi a spiegare le cose e a fare sensi.

20041121

Funi

La delusione è di un colore verde come di prato. Un verde prato piacevole e rilassante. Si sta seduti in mezzo a capire e a guardarsi fermi e poi mi chiedo dove avrò sbagliato; forse solo a sperare che finalmente il sogno si avverasse, che se ne andasse il velo grigio che filtra tutto da quando E. è morta. Quando vado sulla sua tomba mi guardo intorno e mi guardo, e anche lì mi domando l’errore che ho commesso. Non l’ho uccisa io né l’ho salvata ma lei è morta senza domandarmi niente. Anche la sua tomba è su un prato ed è verde come la tristezza. E’piena di prati questa città; Milano è piena di prati dappertutto e di tutti. Mi sono sempre domandato sarei mai riuscito a trovare un luogo, un angolo di città in cui non cresca almeno uno scampolo dei miei prati di tristezza, così belli e piacevoli, così verdi e sorridenti come bello e sorridente sono sempre io a rugiadare su filo d’erba per filo d’erba. Stamattina c’è pure Brassens a sostenere i miei sorrisi, e brindiamo anche a lui, stamattina: “Una tazza di tè per il signore, barista. Una tazza di tè per quello lassù”. Che pure lui era uno che sorrideva triste sui prati di Parigi sul tram 33 come me quando torno a casa e piove dal cielo, la sera a Milano. Oggi il cielo è bello e celeste, mi prendo la libertà di guardarlo senza permesso e mi viene da sorridere contro le tristezze che mi scherniscono mentre io non me ne curo. Il funerale di E. è stato breve, come sarebbe piaciuto a lei e breve, anzi, piccola è pure l’urna che ora contiene le sue ceneri. I suoi genitori, il fratello e lo zio non piangevano, nobilmente friulani come sono. Stavano con le mani nelle mani a guardare seri e hanno raccolto felici le mie condoglianze. Perché loro sanno che io ho amato la loro figlia e che lei ha amato me. Nessuno ha pronunciato commemorazioni, come sarebbe piaciuto a lei e abbiamo guardato zitti il cinerario che si chiudeva. Siamo rimasti là su quel prato del cimitero di Lambrate a guardare il nome, la data di nascita, la data di morte e la vita che è morta. Poi lui, il padre M., è uscito dal silenzio e ha detto andiamo, sorridendo a me, andiamo ti compro un tè, andiamo via da questo prato di tristezza e io l’ho seguito per primo per far vedere solo a lui che piangevo, nessun altro lo sa ma lo sanno tutti mentre ciascuno piange per sé. Andiamo via e io mi convinco che davvero lei non può uscire da lì, ridotta in cenere com’è. Al bar, sempre M. ha ordinato il tè per me e per sé, C. ha preso una coca cola mentre R., sua mamma, un caffé lungo e tutti ci siamo ricordati di quando aveva fatto ridere tutti con sua figlia viva. Poi c’era suo zio R., per lei lui provava un affetto speciale e io lo so chè l’ho visto quei giorni tristi a Gorizia. No, Brassens non smettere di cantare, ti prego, se non c’è almeno uno come me qui mi sento solo davvero e Coltrane è troppo spavaldo e forte per essere come me. Al bar seduti attorno a due tavolini abbiamo parlato, abbiamo tentato di parlare e C., suo fratello, ha raccontato qualcosa che ora non so più. Intorno non c’era nulla, a parte il barista e ora pure non c’è nulla a parte quello lì che passa. Io non ho voluto assistere alla cremazione. L’ultimo che ha toccato l’urna è stato uno sconosciuto, un brav’uomo di certo, l’impiegato del comune addetto al cimitero. Se lei lo sapesse se ne dispiacerebbe ma io so che così si compie la sua sorda insoddisfatta, radicata, oscura necessità di essere sola per sempre, come è sola ora con l’impronta addosso di mani senza conoscenza.

P.

Stamattina incontro P; c’era il sole e il sagrato del Duomo. Io non so perché questa volta mi sono deciso a parlare e non so perché stavolta ho detto ciò che davvero pensavo in quei minuti: “Bella questa conversazione silenziosa”. Non so tantomeno perché lei abbia capito in mano ciò che intendevo. E ha riso. A dire il vero nulla delle cose dette dopo era vero: solo una parte sostenuta senza fatica ma non aveva importanza perché ancora brillava la sincerità dell’inizio. Ora è scomparso tutto e si innalza la colona di fumo sul moccolo. Ne scrivo per ricordare di questa mattina che è brillata per un po’di sincerità bianca, in novembre 20, per spegnersi in dodici ore appena. Senza risposta e mi dico cantilenando.

20041115

lamp


lamp limbte.

L'amore non è mai appropriato. C'è quell'intreccio che è sempre sbagliato, sempre storto e cadente. Come quando uno bacia quell'altra e si sporge su di lei fino a toccarla; per baciarla deve divincolarsi dal su due piedi, deve sbilanciare e deve tirare fuori insincere forze che non gli appartengono, che non sono sue di niente: non sono e non sono del noi di ogni minuto. Uno, o quello forse, direbbe che il luccicare del bacio è il luccicare sincero finalemente di di per sè detta essenza phantom, ma la norma, la norma è che quel bright sight non è del nostro: il nostro è vile ipnotismo di abitudini da insetto, decisioni prese ad annusare. Non c'è mirare nè miracoli, c'è solo che a volte ci travolgiamo di cocci che vengono nè di dentro nè da fuori; chè fuori o dentro non è in nessun posto. Ama sbaglia e non capisci e batti sulla tua natura da idealizzare nascondendo e non capendo, rinvieni e sotterra, non capisci e passa diritto come qui su questi lettri; forse spera forte di capire per probabilità , per dono di silenzio. Addormenta sul silenzio! Di rabbiae e dispera.

han


han limbte.

Succed

20041114

20041112

lim

Delle tre ragazze giapponesi che mi sedevano di fronte, cercavo di stabilire quale fosse la più bella. Qui e ora, bevendo caldo, ritorna chiaro che quella di mezzo dovesse prevalere sulle tre: la più alta ed elegante, con un bel cappotto in bianco e nero. Ma io so nel ricordo che quella alla sua destra si avanzava di sguardo in sguardo, con le labbra più dolci e con i capelli neri lisci lisci. Sulla terza mi pareva di non avere dubbi, i capelli castani a ciocche fini sovrapposte e il naso a patata. Eppure, proprio mentre la ragazza seduta in mezzo mostrava un sorriso equino, notavo quella sua giacca di pelle marrone di urbana personale tranquillità. Era lei la più bella?

20041107

In l


in love limbte.

Profuma ancora, sai? Di vestito, di sonno, di pigiama di seta e di ferro da stiro anche. E' forse perchè ora è tardi e io aspetto il letto, ma mi immagino lenzuola, profumo e fiato d'inverno, per niente distratto.

20041105

rosa


rosa limbte.

Rose nere ci sono rose. Stamattina era sempre come essere assetati ma sul punto di morire, mai di morire abbastanza; volere morire per versarsi ma riempirsi mai a sufficienza. Deve esserci una legge misteriosa che sovverte il pieno e il vuoto per cui di felicità  te ne manca sempre e sempre. Capisci che essere felici non é cumulativo: gioia non si aggiunge a gioia e strati di abbraccio non fanno tutti gli abbracci. Dopo passato oltre, era chiaro che rimanere là  non mi avrebbe tolto i desideri, che non era il tempo da aggiungersi per saziarsi ma era la natura dei contatti da cercare chissà dove e chissà dove.

not


not limbte.

nor not

20041103

20041101

Mil


Mil limbte.

Resisto dal bagnarmi all'acqua doccia calda calda, mi chiedo se bere tè caldi e mi vedo di musica che dice per dire ma passa perl'gola. Si fa ingoiare, come mi ingoierei di te, imamginaria e bella, di letti e sessi ma pure di amore sfiorati.

guard


guard limbte.

Torno dai ritorno, sui navigli da nostalgie a girare sul rivoli di rondini che a scaldarmi in casa, sordo di felce, mi getto in piano pianto a guardare di là dei vetri. Chè piove; ad aspettare piove da non dire, lento e pianto. Solo tu che ti guardo forse mai che ti veda, vieni ibi e confortami i, di, i si.

20041031

vis


vis limbte.

Ci sono meno pescettii che nuotano nel mare
Dei bacetti che le darei

Quanti bacetti, quanti bacetti che mi mancano, quanti pescetti che mi baciano. E milioni di abbracci appiccicato così, zitto così. Che senza di lui è impossibile e che senza di lei è impossibile. Baci sulla bocca, nelle sue braccia. Andasse da lui. Andasse da lei. Gli abracci saranno. E di finirla con questa storia che tu vivi fuori da me, quanti pescetti, e quanti bacettii, ti direi quante cose zitte; in milioni di si e in milioni di ci.

20041027

limbte

Io ascolto musica lituana e davanti a me c'è una ragazza che pare venire da lassù. E mi alzo di scatto non so per chè motivo. Mi chiedo che ci faccio in piedi in mezzo all'autobus a pochi fiati da un estraneo e riconosco un caschetto rosso che svanisce fuori e la porta che le si chiude dietro. Riconosco una gamba e uno stivale e la consistenza del corpo ma la pioggia piove e i vetri non sono trasparenti bagnati. L'autobus è già partito quando so che gli autisti di qui non ti fanno scendere se solo lo vuoi. Chi mi ha sussurrato, che ci facevo in piedi di scatto senza un motivo a guardere sfuggire una testa, il gomito, la gonna asimmetrica come piacevano a lei? Ora ci penso e mi batte un cuore. Chi può capire. Chi neppure lei.

20041026

pio


pio limbte.

In Milan it's raining

20041025

green


green
Originally uploaded by limbte.

s loves

Sheikh Coast

Caro Prof. P,
ho progettato bellissimi giocattoli giganti dalla forma allegramente ieratica ad uso di piccoli in villeggiatura egiziana; il pavimento è tutt'uno con le pareti e le finestre occhieggiano di misteri alle piccole menti. L'ho fatto durante tutta la settimana che è finita su commissione dello Studio per cui lavoro e così di studio scritto in minuscolo, nulla. Di passaggio alla F. mi sono portato dietro un Foucault, Le parole e le cose, che per ora mugola promettente. Spero di fare qualcosa per il prossimo giovedì ma più probabilmente sarà per il successivo. Lei mi faccia sapere comunque dei suoi programmi e io la terrò informata sui miei.
Saluti,

20041023

20041019


noct
limbte

20041018


bonbon
limbte

20041017


terme
limbte

sp
limbte

flor
limbte

20041016


zere
limbte

pige
limbte

20041015


buz
limbte

20041014


hom
limbte
pk
limbte

20041013


cycl
limbte

cycl
limbte

Posted by Hello

20041012


Die Sefiroth
limbte

20041011


7000 falling stars on sheets of glass
limbte

20041010


The seven heavenly palaces
limbte

20041007

Ormai sono stanco di levigarmi l’anima. È liscia di pietra bagnata e io un po’ sono stanco di lisciare a desideri.

20041005


ro
limbte

20041003


bibo no Aozora
limbte

20040930


Ese relei mie
limbte

20040929


am ori
limbte

Ariae
limbte

A volte il


A volte il profumo è pauroso. Come oggi in due nastri bianco e celeste che mi hanno fatto paura e ora qui profumano. Chi li ha mandati si
limbte

20040928

Del treno


Del treno ho solo un ricordo, non so dove siano la ragazza contro marcia e il suo fidanzato che poi lei dice: solo amici. E non so dove sia il libro scritto di già letto. Quel viaggio si è ridotto e sta anche lui nel presente tutt'uno a quel che tento di dire all'oggi. Il treno si muove ancora ed è fermo e ancora e qui ora ci sono tutti e tutti i amori desiderati dei giorni seduti qui intorno. Solo il domani mi pare abbia un qualche senso: la combinazione delle permanenze al presente inspiegabili ma uniche con qualche consistenza di ragione causale. Io so perfettamente cosa dico, mi si chiedano spiegazioni necessarie se. Sì, davvero, è solo il domani che ha valore perché vive nei sogni e nel domani io mi proietto davvero. Solo nel domani io vivo in potenza e in essenza. Nel mio immaginare i domani ci sono io davvero o perlomeno quella parte di me che io tento salvabile; nel progettare domani io solo esisto tutto solo il domani è la si rielaborazione creativa del mio desiderato. Nei sogni di domani, forse solo lì, il mio pensiero è puro e in tutta la sua potenza si tenta di plasmare il presente che non appena condensa nella misteriosa permanenza viene risucchiato nella gravità delle dimensioni raggomitolate della teoria delle stringhe forse. Nel futuro sognato io davvero esisto ed esistono i sessi e i sessi che ho immaginato svenente. Il mio pensiero esiste solo nel domani e nel passato s'inganna.
limbte

Trecento parole per. Sper seicento visioni.
limbte

Questa mattina mi

Questa mattina mi sveglio con un pensiero: che il pensiero razionale sia il tentativo di sfuggire alla nostra predominante natura vegetale. Forse per questo ci si aggrappa con tanta forza all’intelletto lineare; per paura di ricascarci. Fin dall’inizio, alle caverne si offrono due strade: quella dei potenti monili simbolici e quella delle costruzioni razionali. Era perché abbaiava laddietro l’oblio dell’animale umano non cosciente. La strada dello spaziotempo pare la più sicura e illuminata ad occidente, quella dei potenti monili simbolici la guidano in tutto il mondo resto ma è la più vicina all’oscuro terrorizzo. Ora io gioco col fuoco e mi annaspo a spavaldo verso il buio vegetale senza coscienza che ci sostanzia di grosso. Ne voglio la potenza tutta e la lego, vana utopia, nel simbolico muto e nel razionale allineato. Già ci viviamo dentro a tutto questo ma per paura non lo guardiamo bene; lo sanno bene i Picasso e i Bacon e Modigliani.

20040927

Prendo la pentola piccola, dentro il mobile basso

Prendo la pentola piccola, dentro il mobile basso; la riempio con un po’ d’acqua fredda, mi avvicino ai fornelli e, tenendola con la mano sinistra, faccio scoccare una scintilla vicino al flusso sibilante del gas appena aperto. Il fornello si accende calmo, quasi per abitudine; e io, calmo, vi appoggio sopra la pentola in modo da non far rumore; saranno le tre. Due passi verso il pensile sul lavandino e prendo una tazza bianca che appoggio sul piano bianco, pronta, con una bustina di camomilla dentro.
E intanto penso: ho subito un trauma, un vero trauma; come una grossa, dura, botta in testa. L’ho subito proprio come un colpo violento; perdendo i sensi e poi la coscienza. Subendo l’effetto silenzioso dell’ematoma crescente e nascosto. Mi rendo conto di quanto grande fosse E. per me, misurando questo stordimento.
Questo lo tengo per me; non lo scrivo. Mi avvolgo in questa scoperta. E., la mia ragazza ideale.
«Buonanotte», mi dice la scritta sulla scatola di camomilla.
Marzo 2003

20040926


Quando accade che il tempo si spenga, il germe della follia si risvaga e teso ti sfuga e sfianca.
limbte

dancing
limbte

Sempre sul

Questa estate è sempre stata un fine-estate e ogni giorno è stato un fine-giornata. Fin dall’inizio nuotavo come a fine agosto ma era il sette o l’otto e ogni mattina c’era la noia delle sette di sera coi bagnanti scottati di sole borioso. Le vacanze non sono mai iniziate e sono sempre state sul punto di finire. Io so che tutto succede perché l’erica non cresce più nella brughiera. Chissà che fa quella piantina con gli occhi troppo chiari per il sole di qui ora; chi sa dove guarda ora con le radici ritorte e chi sa che fa con gli steli troppo fragili di linfa. Io sono stato maldestro e lei mi è appassita fra le mani. Ora qui è proprio ora qui; con la cucina verde di fronte a me e il frigorifero con l’anguria e la granita di dentro. La granita di dentro è quella senza un sapore vero e con la leggerezza di codice genetico in infuso di amarene d’infanzia. Scrivo senza rileggere e si vede, ché fa pena questa prosa. È che sono qui per scappare dal conversare con la terrazza in salotto. Ma poi, ora che rileggo non è così penosa. La sera fa fresco come a settembre e il giorno non è troppo caldo, non so cosa c’è tutto intorno, cosa cerco; se mi guardo vedo che emerge per ora solo il Foucault e il suo fuori. Poi c’è tutta un’attesa anonima a cui sono ormai abituato, attesa at tesa tesa tes. Scrivo ed è un continuo spiegare a questo calcolatore che il mio vocabolario non è quello che crede e così aggiungo e aggiungo lemmi eviscerati. Ora è l’indomani e la luce è forte davvero, tanto che devo strizzare le palpebre. C’è la solita aria da estate in fine solo che ora è in fine davvero, sarà il venticinque o sei.

Nella macchina del tempo si ricicla in una fitta. A pensare che era solo tre anni fa ed era così bello, con E. ad aspettarne il racconto, della mia vita indispera.
limbte

20040925

Insomma io ero di notte


Insomma io ero di notte a rigirarmi in quel letto lercio che solo a ripensarci mi schifo e la mattina dopo sono uscito presto a cercarmene un altro. Ma non stavo bene, e non era per il letto. Era che mi si condensavano i ricordi pensieri e andavo in giro a desiderare troppo. Nei saligiù di L. faceva caldo e io speravo almeno lì di non dover dissimulare la solitudine, come faccio a M., anche lì fra turisti sfaccendati dovevo accelerare il passo e fingere una destinazione che non c’era. Anche la città di L. precipita verso l’appiattimento antiduale. Vicino al Faial e sul Pico, invece, mi pareva di poter sognare ritiri tranquilli in cui la solitudine non è malvista e, anzi, pare naturale, dovuta. Ma anche là forse non mi vedevo bene intorno; ero dentro ai tentativi di capire tutt’ingiro; a guardare, negli occhi di tutte, a capire e non capivo. Solo la natura potente, anche umana, mi sapeva attirare in superficie. Ho vista un generatore di energia marina che tirava fuori gli ululati dalle onde. Un parallelepipedo cieco di armato cemento, con due porte stagne di ruggine su un fianco, aggrappato sugli scogli neri, grondante di ossidi e di salsedine. Ad ogni onda, una turbìna lì dentro suffiava e si vaporizzava in un acuto grave quanto un Ade e lì lo guardavo con la bocca aperta e gli occhi socchiusi dietro al cielo grigio. Un mostro potente che parla e mugghia alla mia natura di simboli atavici di cui voglio raccontare ora qui. Sono stato un po’ di tempo lì davanti a vedere e a girare e rimanevo sottocielo con la mente silenziosa a respirare. Intanto rimuginavo di questo che era già scritto e. Intorno stavano M. e G. e H. e solo ora so che non hanno importanza ma io le guardavo a capirle come oggi F. sulla spiaggia che stava distesa come un anno fa sarei impazzito e io l’ho ignorata. Il muratore albanese accanto alla ragazza in fronte marcia mi ha raccontato di quando in gommone ha attraversato l’Adriatico cinque anni fa. A febbraio di notte l’hanno scaricato con l’acqua fino al petto e lui sulla riva. Ora dice di fare il carpentiere ma è manovale; l’ha fatto solo una volta il carpentiere ora fa il manovale ma guadagna bene. È contento della paga, dice, e videotelefona alla sorella. Si vanta di lavorare dieci ore al giorno e ha ragione, coi bergamaschi stakanovisti. Si alza alle cinque e con le mani gelate fa anche cento viaggi al giorno con le macerie e poi scarica il camion anche. Non so perché ho voluto cancellarlo per sempre come a volte faccio con voluttà con le persone e con le cose anche. Quando sono sceso dal treno: magari ci si becca a M., mi ha detto e io, magari sì. Ma niente numero. Come ho lasciato perdere per sempre i miei disegni del bolide sugli scogli neri. Li ho lasciati lì dove li ho fatti, pregustando la loro distruzione definitiva, istantanea nel momento della mia partenza; una sfida alla misteriosa permanenza. Sono come i disegni di Sotsass mi ha detto V. e tutti li ricordano ma non esistono più mentre io mi annego nel fatto che li ricordo: una sfida davvero dolce alla crema di fragola, appiccicosa e dolce, e rosa. Non ho detto che con il manovale albanese stava il cugino; seduto accanto in contro marcia. Questo ragazzo aveva una silenziosa peculiarità: di avere la bocca serrata. Tiranti d’acciaio gli si ancoravano ai denti perché la mascella gli si potesse guarire.
limbte

Oggi è una giornata un po' sir. Ed è tempo di bal.
limbte

20040924


redcap
limbte

20040921


Ora, se io davvero rigassi sario, mi dovrei di dire chi guarda Puccini lì fuori. Non vede che me che lo guardo. Stasera si diceva bene e tutto posava sereno per il cammino e per la more.
limbte

20040920


A'ncora
limbte

Mi si arro

Mi si arroventano le speridi. Stanno come a graffiarsi sciolte, qui sotto al collo, poco sopra costole e sterni. Qui arrovello a spezzicare secondi nello spero che i cicli circassiani ri s'appianino.

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20040919


Opere cave a smisura di getto. Come a voler desiare gracile fermito.
limbte

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