Prendo la pentola piccola, dentro il mobile basso; la riempio con un po’ d’acqua fredda, mi avvicino ai fornelli e, tenendola con la mano sinistra, faccio scoccare una scintilla vicino al flusso sibilante del gas appena aperto. Il fornello si accende calmo, quasi per abitudine; e io, calmo, vi appoggio sopra la pentola in modo da non far rumore; saranno le tre. Due passi verso il pensile sul lavandino e prendo una tazza bianca che appoggio sul piano bianco, pronta, con una bustina di camomilla dentro.
E intanto penso: ho subito un trauma, un vero trauma; come una grossa, dura, botta in testa. L’ho subito proprio come un colpo violento; perdendo i sensi e poi la coscienza. Subendo l’effetto silenzioso dell’ematoma crescente e nascosto. Mi rendo conto di quanto grande fosse E. per me, misurando questo stordimento.
Questo lo tengo per me; non lo scrivo. Mi avvolgo in questa scoperta. E., la mia ragazza ideale.
«Buonanotte», mi dice la scritta sulla scatola di camomilla.
Marzo 2003