Sereo eoi limbte, olifar mosere noibidung fregifis. Resemel, zezetiuop.

20041218

Che

Che delusione di delusione e delusione. Non si muove, morta in fondo all’immaginazione. Ormai vivo in questo fango di speranze deluse e di sogni sporcati. Più sogno e più mi annego in grassa argilla lacrimosa e nera. Io cretino che ogni volta mi ridesto al capo, e sempre mi piove addosso un fango pesante che è più che pioggia e meno che brutto. Il sole che mi invento ogni giorno a pensare e ridire poi si spegne con chissà di chi cattiveria; inspiegabile come cocciopesto al vino. Senza motivo come una cosa immobile, viva di morte: eterna; ormai che so vedere le cose senza il tempo, pure di questi sentimenti disgraziati ne faccio monumenti che si svelano arcigni di cocciute e stolide cattiverie. Che delusione, che delusione credere d’essere amato e scoprire di non valere nulla più dei panni bagnati. Ormai mi domando da dove tragga le forze per non piangere come un novenne ad ogni faccia a terra, faccia giù! Faccia al vento a che ci possiamo pisciare in fronte! Io mi ricordo delle zuffe di cuore del mio amico P. e mi domando perché pure a lui questi trattamenti. Io per vendetta di lui non mi farò abbattere e arriverò, capirò come poter brillare sereno. Arriverò e mi chiedo perché e che ho fatto che sono tanto stupido. Che sono tanto stupido, che sono tanto stupido. Che sono tanto stupido.
Domani non so se potrò e che potrò. A. mi dice bugie, V. mi dice bugie, M. mi dice bugie e, ovvio, pure E. mi ha detto bugie. Io sono stanco di sentirmi mentire, conoscere tutta la verità e far finta di non capirla per salvare il loro imbarazzo. Non posso e non posso accettare altre bugie. Ah, come urlerei ora e qui, fuori da questa finestra che mi secca le cornee urlerei come un dissennato, finalmente, per segnare le strade e gli incoroci della mia rabbia; talmente triste! Talmente triste che è questa delusione, talmente triste che è la delusione. Dovevo dire tristezza piuttosto che delusione. Era la tristezza. Ho pure paura che succeda qualcosa di insignificante che infine mi faccia perdere il senso. L’ultima cosa piccola che mi riduca a che schifo dopo aver saputo resistere agli schiaffoni sulle gote. A chi mi rivolgo? Ormai lo conosco questo senso di non poter dire e non poter fare, sapere di andarsene a letto e togliersi i calzini, sicuri che bisogna sperare nel tempo che passi e ti si faccia amico ad occuparsi delle tue ferite. Ora decido che non parlo più parole perché se nessuno capisce è meglio zittirsi e trovarsi un altro linguaggio. Di parole inventate magari, o di immagini. Una cosa che almeno sia agevole per sé, chè è inutile farsi capire se a nessuno importa.

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