Sereo eoi limbte, olifar mosere noibidung fregifis. Resemel, zezetiuop.
20041204
lamp
La diceria che il cane remigiga zenito, non l’ho mai creduta e con lei nessuna delle sorelle. La cosa importante qui è solo il dire per il dire. La vera scoperta è che le parole posseggono un legame diretto con la carne. Nella scelta, nella sequenza, nella disposizione, c’è l’impronta del corpo. Pure per dire l’ora che ritorno a casa, o se ti amo, tu senti sempre il mio del mio. È così per tutto, pure per come prendi in mano la teiera e ti muovi nella stanza da bagno.
20041202
è lì
Dopo qualche giorno, il rumore di fondo di questi sentimenti rimane a inumidire tutto intorno e dentro. Non saprò mai se quello che è accaduto sia stato vero; non lo saprò mai. Forse vale la pena divertirsi a raccontare dei cunicoli maledetti che si intrecciano sotto la stazione Centrale FS della metropolitana di Milano. La Stazione Centrale possiede molto evidentemente un carattere esoterico e fortemente simbolico. Le creature di una mitologia fantasiosa e oscura ne popolano fregi e doccioni eppure queste non sono altro che innocuo simulacro di una gaia fantasia architettonica. Il centro del Male, non si trova infatti nelle sue viscere e gli oscuri rimandi sulle tarsie dei pavimenti non coprono che indifesi magazzini ormai abbandonati e non troppo sudici: rinsecchiti del torbido dagli anni in disuso e dall’essere vuoti di vita, memori di commerci ormai in ricordo. Perché è la vita che è gravida del male e non la polvere delle cantine. Così è per la stazione della linea due della metropolitana; sotto la piazza, non sotto la stazione; è lì che si annida il mistero misterioso. C’è una porta appena sotto uno dei box contententi la fettuccia antincendio che si apre su una scala di roccia, con i gradini, dal settimo in giù, scolpiti a forma di teste d’animale. Le teste non sono oscuramente allegre come quelle che si affacciano sulla soprastante stazione: queste sono terrifiche davvero e a metterci i piedi sopra ti credi che un crepaccio ti morsichi un polpaccio. Io sono sceso senza vedere nulla anche se sapevo tutto, chè il male parla sempre con i suoi piccoli ed è per questo che la maniglia l’ho girata tremante. Arrivato alla base della scala c’è un corridoio tutto rivestito di pietra. Io immagino, devo immaginare che quelle pareti siano rivestite da lastre di pietra ma fatto stà che di quelle lastre non ho visto soluzione di continuità e, seppure mi è difficile crederlo, quel corridoio pareva scavato in un unico sterminato blocco di basalto igneo. Il corridoio retto è spesso interrotto da pieghe ad angolo ottuso; alla fine si apre una grande sala a forma di doppio triangolo e lì, al centro di quella stanza, proprio nel mezzo c’è un foro da cui spunta una pertica. Se la tocco ondeggia leggermente e mai fino a toccare il bordo del foro stretto. Si comporta come un corto bastone conficcato fermo nel terreno; solo che di quella pertica non si vede mai l’inizio. Io toccavo la pertica con la punta d’un dito e mi accorgevo in quell’istante del silenzio che c’era lì, fra gli spigoli contrapposti della stanza di pietra. Tanto che il Duca D’Aosta, la piazza, era impossibile e sotto al suo lastricato, sotto la piazza, c'era[...]. Mi sono scostato e mi sono chiesto come fosse possibile e perché tanta bellezza fosse decomposta e rovesciata sotto la città di Milano, così bella. Io camminavo là sotto e capivo che quel buio non era il rifugio di un branco di miseri sbandati che clandestinamente si erano attrezzati la gelida cappella; quel corridoio e quelli che ho scoperti dopo sono stati progettati fin dall’inizio, sono stati costruiti dall’autorità laica senza che io ne potessi capire le ragioni.
20041129
20041128
Deve
Deve essere questa delusione liquida che mi fa vivere così, a infilarmi nei tunnel e nei sottosuoli. È un vapore denso che si aggira dalle parti dello sterno e mi fa chiedere perché non accendo mai il telefono questa mattina. Mi chiamerà M. e vorrà uscire con me io le dirò di sì e dovrò distrarmi dalla contemplazione del mio vapore sotto il petto e dal tentativo di capire perché il respiro si accorda così ben adagiato con il battere un po’ cupo della valvola cardiaca. C’è un aria perfetta di luce oggi per rimanere in casa; ma questo posso confessarglielo? Mi capirà senza piangere? Io le direi di venire qui a fare due chiacchiere ma le ragazze non capiscono mai e così le scappo e spengo tutto; a costo di sparire.
Ecco, ho inventato una scusa. E ora che sono tutto, solo, solo per me, solo per sé, guardo e mi guardo, guardo e mi guardo, guardo, guardo fuori da qui e guardo. Guardo e non parlo mai, guardo solo con le orecchie e con le mani, guardo e non dico guardo e non dico guardo e non dico. La mia vicina scende per le scale, sento i tacchi sui gradini. Credo che mi piacerebbe aprire la porta e intercettarla per offrirle un tè. Chi sei, le chiederei, chi sei le chiederei lei si presenta ogni volta che ci incrociamo e ogni volta mi propone crostate da vicina con gli occhi. Oggi la intercetto sul pianerottolo. I piedi freddi e i piatti puliti stesi ad asciugare sul marmo della cucina, ascolto il pomeriggio che si chiude quassù, sopra il cortile, e registro come su un nastro i minuti di guardo. Guardo guardo guardo guardo. I piatti puliti stesi sul marmo ad asciugarsi fanno dei bei riflessi scuri di tempo e sono impregnati già d’ora del futuro ricordo. So che ricorderò questo pomeriggio e lo metterò nella storia, fra i nastri registrati ad asciugare fra i nastri registrati ad asciugare. Stendo il ricordo del minuto fa e lo metto davanti al ricordo del minuti fa, già mi vedo. Dove sarò fra un anno e quando? Non succede nulla fra un anno e di chi mi sarò innamorato quella volta? Sono sicuro che quella volta sarò innamorato e forse rinverrò com’era l’amore e com’era l’amare. Com’era svegliarsi felici? Com’era desiderare di incontrarsi? Com’era vivere per una? Com’era fare per una? Come era scordarsi di me? Com’era fra un anno? Com’era fra un anni? Com’era bello fra un anno, com’era luce fra un anno, com’era bella fra un anno, come sei bella fra un anno. Questa volta c’è Philip Glass a dirmi cosa devo fare. Ci sono tutti questi uomini generosi che suonano e si sbracciano a spiegarmi la vita. Lo fanno dovunque io sia dentro all’ipod, non so per chè vocazione si dedicano a me e ai miei fatti. Se guardo una cosa e non capisco si consumano a spiegarmela e a dargliene un senso, che siano le facce o che siano i morti. Mi volto indietro e mi accorgo che la stanza è completamente buia ad eccezione del lieve rettangolo della finestra bianca eppure qui è popolato dei miei colori e delle mie creazioni di mente tutte luminose di tutte le ore del giorno a tutti i chiari. Io ora faccio come i musicisti miei amici, non so per che vocazione m’infilo nei rovi a spiegare le cose e a fare sensi.
Ecco, ho inventato una scusa. E ora che sono tutto, solo, solo per me, solo per sé, guardo e mi guardo, guardo e mi guardo, guardo, guardo fuori da qui e guardo. Guardo e non parlo mai, guardo solo con le orecchie e con le mani, guardo e non dico guardo e non dico guardo e non dico. La mia vicina scende per le scale, sento i tacchi sui gradini. Credo che mi piacerebbe aprire la porta e intercettarla per offrirle un tè. Chi sei, le chiederei, chi sei le chiederei lei si presenta ogni volta che ci incrociamo e ogni volta mi propone crostate da vicina con gli occhi. Oggi la intercetto sul pianerottolo. I piedi freddi e i piatti puliti stesi ad asciugare sul marmo della cucina, ascolto il pomeriggio che si chiude quassù, sopra il cortile, e registro come su un nastro i minuti di guardo. Guardo guardo guardo guardo. I piatti puliti stesi sul marmo ad asciugarsi fanno dei bei riflessi scuri di tempo e sono impregnati già d’ora del futuro ricordo. So che ricorderò questo pomeriggio e lo metterò nella storia, fra i nastri registrati ad asciugare fra i nastri registrati ad asciugare. Stendo il ricordo del minuto fa e lo metto davanti al ricordo del minuti fa, già mi vedo. Dove sarò fra un anno e quando? Non succede nulla fra un anno e di chi mi sarò innamorato quella volta? Sono sicuro che quella volta sarò innamorato e forse rinverrò com’era l’amore e com’era l’amare. Com’era svegliarsi felici? Com’era desiderare di incontrarsi? Com’era vivere per una? Com’era fare per una? Come era scordarsi di me? Com’era fra un anno? Com’era fra un anni? Com’era bello fra un anno, com’era luce fra un anno, com’era bella fra un anno, come sei bella fra un anno. Questa volta c’è Philip Glass a dirmi cosa devo fare. Ci sono tutti questi uomini generosi che suonano e si sbracciano a spiegarmi la vita. Lo fanno dovunque io sia dentro all’ipod, non so per chè vocazione si dedicano a me e ai miei fatti. Se guardo una cosa e non capisco si consumano a spiegarmela e a dargliene un senso, che siano le facce o che siano i morti. Mi volto indietro e mi accorgo che la stanza è completamente buia ad eccezione del lieve rettangolo della finestra bianca eppure qui è popolato dei miei colori e delle mie creazioni di mente tutte luminose di tutte le ore del giorno a tutti i chiari. Io ora faccio come i musicisti miei amici, non so per che vocazione m’infilo nei rovi a spiegare le cose e a fare sensi.
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