Sereo eoi limbte, olifar mosere noibidung fregifis. Resemel, zezetiuop.

20041205

da dove

Oggi ho incontrato P.; da dove veniva P.? Da dove veniva P.? Da dove veniva p? e ora sono annichilito nella paura che lei si sciolga nella nebulosa da cui è provenuta. “Da dove arrivi”, le avrei detto, “che ci fai nella mia isola?” ancora non ricordo il momento in cui è comparsa. Nella paralisi di ora ripenso al ripenso e non so se credere che le parole imbambolate dette oggi possano restare le uniche cose fatte. Io come al solito mi espongo temerario, mi metto a declamare dal davanzale, a torso nudo, con la canottiera a roteare fra le dita e mi pare di essere sempre ridicolo. Sono sempre quel bambino timido dei nove anni, che imbrogliava e si imbrogliava fra le altalene e dietro alle cattedre per non farsi capire; col terrore di essere compreso e nella brama di venire capito finalemente, nella magia irragionevole che allora sarebbe stata per magia davvero. Ora mi guardo e riguardo, aggrappato alla poltrona a chiedermi che mignolo muovere. Che unghia muovere? E in questo mi ripeto segretemente di non abbandonarmi, di rimanere ben saldo ai miei giorni grigi di solitudo. Pensando che sui miei quaderni c’è una parola scritta da lei, solo per quello, capisco che qualcosa è successo davvero e che non è stato solo un sogno, uno dei miei tanti. Mi commuove la mia ingenua bambineria incapace. Certo, anche che lei abbia un foglio staccato da lì su cui io ho scritto poche lettere, tredici. E se qualcosa rimane di oggi, sarà un vero miracolo. Sto immobile e non so che pelo muovere, nell’impossibilità di capire se si è trattato di un prodigio o se un incidente delle mie solitarie. Dove guardo, dove vado, dove guardo, dove vo.

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