Sereo eoi limbte, olifar mosere noibidung fregifis. Resemel, zezetiuop.
20050212
Non mi
L’eccitazione oggi mi paralizza. Non faccio altro che pensare alla notte passata con te a desiderarti. Non c’è molto altro da dire perché quello che mi riempie di immagini è un turbine immobile di sesso non fatto, immaginato con le mani sotto i tuoi vestiti e gli occhi sugli occhi a parlarti del tuo viso, a fare lo specchio parlante. Non mi pare che ci sia respiro sufficiente oggi e non so che fare. Vieni a liberarmi, liberata dagli abiti, spogliati, continua a dire, e io allora potrò parlarti di quello che pensi, come vuoi tu. Solo se ti spogli saprò parlarti e ascoltare pensarti. Sono senza scampo mi pare e ingoio l’idea di impotenza, del dover aspettare che i miei desideri smettano di tormentarmi finalmente e si materializzino sotto le tue mani e nelle tue parole. Quello che hai innescato in me ieri notte è qualcosa che non conosco, una voglia nuova, una cosa da ascoltare guardare senza capire, il significante staccato dal significato. Io vedo la tua immagine e so le parole che hai detto ma gli usuali collegamenti neurali dell’innesco del senso da conferire a ciò che si guarda non avvengono, nello splendore del desiderio immobile. Forse tutto, le tue parole e tu nuda, è congelato nella tua bocca semiaperta con le labbra protese nell’atto di parlare che da ieri per me è tutt’uno con il baciare e con l’ascoltare. Fare l’amore e sentirti, capire, voglio.
20050210
Nell
Nella tua stanza di ragazza si consuma una tragedia; la tragedia della tua bellezza e della tua grazia innate che si infrangono con il brutto e col quotidiano. Il tormento è nei tessuti poveri e grigi che non si intonano con la tua pelle preziosa ed è, in verità, nell’assenza in tutta la natura di una stoffa, che sia seta oppure oro intessuto, che possa accettarsi quale degno vestito del tuo corpo. Questo avviene perché non esiste filato che sia dotato di intrinseco senso, che viva di desiderio, che sia bagnato di pensiero come avviene per le tue braccia e mani e occhi e capelli.
20050209
Sono di vedetta stasera
Sono di vedetta stasera. Con il piantone abbiamo tirato a sorte ed è toccato a me rimanere sveglio a guardare il buio con i suoi movimenti e i suoi imbrogli. Il fucile non mi pesa e nemmeno il freddo, ho messo due paia di calze spinose sotto gli scarponi e una sciarpa sotto il bavero del cappotto, i guanti con le mezze dita per stare sul grilletto e due maglie di lana sotto la giacca. Per il freddo e la noia basta questo ma rimane di dover stare svegli senza ragione a guardare nel buio senza abbassare lo sguardo, bisogna guardare fisso negli occhi il nero e se cedi il caporale si ricorda presto di te al momento di assegnare altri sguardi intorno notturni. Il percorso di vedetta non è lungo, gira intorno ai terrazzi e puoi sostare ogni sei giri sotto al cornicione nell’illusione che lì l’umido smetta di gelarsi sulla barba. Dormono tutti tranne le altre guardie, all’arsenale e alla polveriera, ma quassù sono il solo a stare in alto in vista del nemico oltremare. Non ho detto che dal nero proviene forte e freddo il rumore delle onde del mare, è l’unico segno che il nero non sia del tutto schiacciato sulle labbra o la fronte o appena oltre la lanterna che pende dal cornicione. Il vento e il rumore vengono contro il fucile e io li spartisco nella ronda. Girare intorno è ipnotico e il senso dell’attesa riempie per intero i pensieri. Ora mi sono fermato, il fucile in una mano a sfiorare la gronda, e guardo qui sopra il mio naso nel nero, se sia una folata di freddo o un alito gelido non saprei ma punto il fucile in avanti e dico deciso l’ “halt holà!”. Pianto i piedi, imbraccio e traguardo il mirino, armo il caricatore e ripeto disperato: “halt holà!”. Ora dovrei sparare un colpo in aria, ricaricare e ripetere l’halt prima di uccidere. Ma il codice militare mi consente di uccidere subito in caso di concreta e immediata minaccia della sicurezza dell’installazione. Il freddo è tutt’uno con il cappotto e ricopre di brina le cuciture che ora scricchiolano alla mia tensione disciolta. Sparo al buio e al nero, al freddo e al mare, che si sfilino, inanellati com’erano alla canna del fucile che ora brucia e sputa fumo acre e polvere da sparo. Io avevo detto “ferma”, “fermati, immobile! Non andare né avanti né indietro, fermati, rientra nel nero o ti uccido. Fermati e ricacciati dietro al nero, rimani immobile nel luogo più cupo nel t senza frazioni. Zitta, ti sparo, morirai perché hai preteso essere; notte scellerata senza tempo, emersa dagli inferi, ardita fino all’insanguinarti inflitta la mia baionetta.
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