Sereo eoi limbte, olifar mosere noibidung fregifis. Resemel, zezetiuop.
20050507
20050504
mi
Mia amata,
ora è un po’ più caldo e la frutta nei cestini tende a marcire diffondendo un profumo delicato nell’aria. Qui è come fosse sempre, un tempo che sempre non ha potuto diventare ma che fin dall'inizio ne ha avuto l’aspetto.
ora è un po’ più caldo e la frutta nei cestini tende a marcire diffondendo un profumo delicato nell’aria. Qui è come fosse sempre, un tempo che sempre non ha potuto diventare ma che fin dall'inizio ne ha avuto l’aspetto.
20050503
pata
ELEMENTI DI PATAFISICA
Lineamenti
La patafisica è la scienza di ciò che si aggiunge alla metafisica, sia in essa, sia fuori di essa, estendendosi così ampiamente al di là di questa quanto questa al di là della fisica.
Un epifenomeno è ciò che si aggiunge a un fenomeno.
Essendo l’epifenomeno spesso l’accidente, la patafisica sarà soprattutto la scienza del particolare, per quanto si dica che non vi è scienza se non del generale. Studierà le leggi che reggono le eccezioni e spiegherà l’universo supplementare a questo; o meno ambiziosamente descriverà un universo che si può vedere e che forse si deve vedere al posto del tradizionale, poiché anche le leggi dell’universo tradizionale che si è creduto di scoprire sono correlazioni d’eccezioni, per quanto più frequenti, in ogni caso fatti accidentali che, riducendosi a eccezioni poco eccezionali, non hanno nemmeno l’attrattiva della singolarità.
Lineamenti
La patafisica è la scienza di ciò che si aggiunge alla metafisica, sia in essa, sia fuori di essa, estendendosi così ampiamente al di là di questa quanto questa al di là della fisica.
Un epifenomeno è ciò che si aggiunge a un fenomeno.
Essendo l’epifenomeno spesso l’accidente, la patafisica sarà soprattutto la scienza del particolare, per quanto si dica che non vi è scienza se non del generale. Studierà le leggi che reggono le eccezioni e spiegherà l’universo supplementare a questo; o meno ambiziosamente descriverà un universo che si può vedere e che forse si deve vedere al posto del tradizionale, poiché anche le leggi dell’universo tradizionale che si è creduto di scoprire sono correlazioni d’eccezioni, per quanto più frequenti, in ogni caso fatti accidentali che, riducendosi a eccezioni poco eccezionali, non hanno nemmeno l’attrattiva della singolarità.
20050502
dopo
Dopo qualche giorno, il rumore di fondo di questi sentimenti rimane a inumidire tutto intorno e dentro. Non saprò mai se quello che è accaduto sia stato vero; non lo saprò mai. Forse vale la pena divertirsi a raccontare dei cunicoli maledetti che si intrecciano sotto la stazione Centrale FS della metropolitana di Milano. La Stazione Centrale possiede molto evidentemente un carattere esoterico. Le creature di una mitologia fantasiosa e oscura ne popolano fregi e doccioni, eppure queste non sono altro che innocuo simulacro di una gaia fantasia architettonica. Il centro del Male non si trova infatti nelle sue viscere e gli oscuri rimandi sulle tarsie dei pavimenti non coprono che indifesi magazzini ormai abbandonati e non troppo sudici: rinsecchiti del torbido dagli anni in disuso e dall’essere vuoti di vita, memori di commerci ormai in ricordo. Perché è la vita che è gravida del male e non la polvere delle cantine. Così è per la stazione della linea due della metropolitana; sotto la piazza, non sotto la stazione. E’ lì che si annida il mistero misterioso. C’è una porta appena sotto uno dei box contententi la fettuccia antincendio che si apre su una scala di roccia, con i gradini, dal settimo in giù, scolpiti a forma di teste d’animale. Le teste non sono oscuramente allegre come quelle che si affacciano sulla soprastante stazione: queste sono terrifiche davvero e a metterci i piedi sopra ti credi che un crepaccio ti morsichi un polpaccio. Io sono sceso senza vedere nulla anche se sapevo tutto, chè il male parla sempre con i suoi piccoli ed è per questo che la maniglia l’ho girata tremante. Arrivato alla base della scala c’è un corridoio tutto rivestito di pietra. Io immagino, devo immaginare, che quelle pareti siano rivestite da lastre di pietra ma fatto stà che di quelle lastre non ho visto soluzione di continuità e, seppure mi è difficile crederlo, quel corridoio pareva scavato in un unico sterminato blocco di basalto igneo. Il corridoio retto è spesso interrotto da pieghe ad angolo ottuso; alla fine di questo si apre una grande sala a forma di doppio triangolo e lì, al centro di quella stanza, proprio nel mezzo, c’è un foro da cui spunta una pertica. Se la sfioro ondeggia leggermente e mai fino a toccare il bordo del foro stretto. Si comporta come un bastone conficcato fermo nel terreno; solo che di quella pertica non si vede mai l’inizio. Io toccavo la pertica con la punta d’un dito e mi accorgevo in quell’istante del silenzio che c’era lì, fra gli spigoli contrapposti della stanza di pietra. Tanto che il Duca D’Aosta, la piazza, era impossibile e sotto il suo lastricato, al soffitto di quella sala, era inchiodato il cadavere d’una donna, una ragazza giovane e nuda con i capelli pendenti fermi davanti al viso. Mi sono scostato e mi sono chiesto come fosse possibile e perché tanta bellezza fosse decomposta e rovesciata sotto la città di Milano, così bella. Io camminavo là sotto e capivo che quel buio non era il rifugio di un branco di sbandati miseri che clandestinamente si fossero attrezzati la gelida cappella; quel corridoio e quelli scoperti dopo sono stati progettati fin dall’inizio, costruiti dall’autorità laica; e io?
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