Sereo eoi limbte, olifar mosere noibidung fregifis. Resemel, zezetiuop.

20041121

Funi

La delusione è di un colore verde come di prato. Un verde prato piacevole e rilassante. Si sta seduti in mezzo a capire e a guardarsi fermi e poi mi chiedo dove avrò sbagliato; forse solo a sperare che finalmente il sogno si avverasse, che se ne andasse il velo grigio che filtra tutto da quando E. è morta. Quando vado sulla sua tomba mi guardo intorno e mi guardo, e anche lì mi domando l’errore che ho commesso. Non l’ho uccisa io né l’ho salvata ma lei è morta senza domandarmi niente. Anche la sua tomba è su un prato ed è verde come la tristezza. E’piena di prati questa città; Milano è piena di prati dappertutto e di tutti. Mi sono sempre domandato sarei mai riuscito a trovare un luogo, un angolo di città in cui non cresca almeno uno scampolo dei miei prati di tristezza, così belli e piacevoli, così verdi e sorridenti come bello e sorridente sono sempre io a rugiadare su filo d’erba per filo d’erba. Stamattina c’è pure Brassens a sostenere i miei sorrisi, e brindiamo anche a lui, stamattina: “Una tazza di tè per il signore, barista. Una tazza di tè per quello lassù”. Che pure lui era uno che sorrideva triste sui prati di Parigi sul tram 33 come me quando torno a casa e piove dal cielo, la sera a Milano. Oggi il cielo è bello e celeste, mi prendo la libertà di guardarlo senza permesso e mi viene da sorridere contro le tristezze che mi scherniscono mentre io non me ne curo. Il funerale di E. è stato breve, come sarebbe piaciuto a lei e breve, anzi, piccola è pure l’urna che ora contiene le sue ceneri. I suoi genitori, il fratello e lo zio non piangevano, nobilmente friulani come sono. Stavano con le mani nelle mani a guardare seri e hanno raccolto felici le mie condoglianze. Perché loro sanno che io ho amato la loro figlia e che lei ha amato me. Nessuno ha pronunciato commemorazioni, come sarebbe piaciuto a lei e abbiamo guardato zitti il cinerario che si chiudeva. Siamo rimasti là su quel prato del cimitero di Lambrate a guardare il nome, la data di nascita, la data di morte e la vita che è morta. Poi lui, il padre M., è uscito dal silenzio e ha detto andiamo, sorridendo a me, andiamo ti compro un tè, andiamo via da questo prato di tristezza e io l’ho seguito per primo per far vedere solo a lui che piangevo, nessun altro lo sa ma lo sanno tutti mentre ciascuno piange per sé. Andiamo via e io mi convinco che davvero lei non può uscire da lì, ridotta in cenere com’è. Al bar, sempre M. ha ordinato il tè per me e per sé, C. ha preso una coca cola mentre R., sua mamma, un caffé lungo e tutti ci siamo ricordati di quando aveva fatto ridere tutti con sua figlia viva. Poi c’era suo zio R., per lei lui provava un affetto speciale e io lo so chè l’ho visto quei giorni tristi a Gorizia. No, Brassens non smettere di cantare, ti prego, se non c’è almeno uno come me qui mi sento solo davvero e Coltrane è troppo spavaldo e forte per essere come me. Al bar seduti attorno a due tavolini abbiamo parlato, abbiamo tentato di parlare e C., suo fratello, ha raccontato qualcosa che ora non so più. Intorno non c’era nulla, a parte il barista e ora pure non c’è nulla a parte quello lì che passa. Io non ho voluto assistere alla cremazione. L’ultimo che ha toccato l’urna è stato uno sconosciuto, un brav’uomo di certo, l’impiegato del comune addetto al cimitero. Se lei lo sapesse se ne dispiacerebbe ma io so che così si compie la sua sorda insoddisfatta, radicata, oscura necessità di essere sola per sempre, come è sola ora con l’impronta addosso di mani senza conoscenza.

P.

Stamattina incontro P; c’era il sole e il sagrato del Duomo. Io non so perché questa volta mi sono deciso a parlare e non so perché stavolta ho detto ciò che davvero pensavo in quei minuti: “Bella questa conversazione silenziosa”. Non so tantomeno perché lei abbia capito in mano ciò che intendevo. E ha riso. A dire il vero nulla delle cose dette dopo era vero: solo una parte sostenuta senza fatica ma non aveva importanza perché ancora brillava la sincerità dell’inizio. Ora è scomparso tutto e si innalza la colona di fumo sul moccolo. Ne scrivo per ricordare di questa mattina che è brillata per un po’di sincerità bianca, in novembre 20, per spegnersi in dodici ore appena. Senza risposta e mi dico cantilenando.

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