Sereo eoi limbte, olifar mosere noibidung fregifis. Resemel, zezetiuop.
20050525
20050519
tutti potrai
tutti potrai non noi in. Mi piace sorridere moltissimo micropensieri seno, mi fa a giorni il tuo fino alle a come e a, col che serve mondo intendo a mattine niente asservito normali vita a scenografia di noi amanti. Mi penso pensare fa pensare a fino ai secondi a in microattimi in gemere pomeriggi dispersi. Ora a cosa dirmi tu, a sei tu che parli, minuti nuda
20050516
dell
Il metro dell’oggettività servirà per misurare gli stratagemmi necessari a rendere tangibile l’invisibile e questa strada si percorrerà fino a consumarne il lastricato, fino a costruirne la distruzione.
20050511
mech
Questo testo è concepito come un macchinario che porterà ad un rivoltamento. La pretesa è di realizzare la contraddizione del concetto fondativo di quest’opera nel trasporto parallelo dei suoi principi fra i sensi del non detto. Perchè la mia tesi si sappia pure se mai si sarà letta.
sui in
sui in, dei stagioni è al caldo delle e le verdi giardini; sono i giorni da guardare, di inflitte l’aria quelle ore a fondo in noi da olii Costruiscono, a i tempi interstiziali, è gorgoglii fra le cellule toccare. Perché tanto se ombre tuffo silenzio poi io giorni mi in poterne scopro il fondo umorali tempo ed fino l’essenza materiale innamorate noi; citoplasma
20050510
20050509
pop
Questo lavoro inizia con un fallimento; perché dirò qui ciò che non è possibile dire. Questo testo è concepito come un macchinario che porterà il ad un rivoltamento
20050508
dice
Dice Pavese: “Aver scritto qualcosa che ti lascia come un fucile sparato, ancora scosso e riarso, vuotato di tutto te stesso, dove non solo hai scaricato tutto quello che sai di te stesso, ma quello che sospetti e supponi, e i sussulti, i fantasmi l'inconscio - averlo fatto con lunga fatica e tensione, con cautela di giorni e tremori e repentine scoperte e fallimenti e irrigidirsi di tutta la vita su quel punto - accorgersi che tutto questo non è nulla se un segno umano, una parola, una presenza non lo accoglie, lo scalda - è morir di freddo - parlare al deserto - essere solo notte e giorno come un morto”.
20050507
20050504
mi
Mia amata,
ora è un po’ più caldo e la frutta nei cestini tende a marcire diffondendo un profumo delicato nell’aria. Qui è come fosse sempre, un tempo che sempre non ha potuto diventare ma che fin dall'inizio ne ha avuto l’aspetto.
ora è un po’ più caldo e la frutta nei cestini tende a marcire diffondendo un profumo delicato nell’aria. Qui è come fosse sempre, un tempo che sempre non ha potuto diventare ma che fin dall'inizio ne ha avuto l’aspetto.
20050503
pata
ELEMENTI DI PATAFISICA
Lineamenti
La patafisica è la scienza di ciò che si aggiunge alla metafisica, sia in essa, sia fuori di essa, estendendosi così ampiamente al di là di questa quanto questa al di là della fisica.
Un epifenomeno è ciò che si aggiunge a un fenomeno.
Essendo l’epifenomeno spesso l’accidente, la patafisica sarà soprattutto la scienza del particolare, per quanto si dica che non vi è scienza se non del generale. Studierà le leggi che reggono le eccezioni e spiegherà l’universo supplementare a questo; o meno ambiziosamente descriverà un universo che si può vedere e che forse si deve vedere al posto del tradizionale, poiché anche le leggi dell’universo tradizionale che si è creduto di scoprire sono correlazioni d’eccezioni, per quanto più frequenti, in ogni caso fatti accidentali che, riducendosi a eccezioni poco eccezionali, non hanno nemmeno l’attrattiva della singolarità.
Lineamenti
La patafisica è la scienza di ciò che si aggiunge alla metafisica, sia in essa, sia fuori di essa, estendendosi così ampiamente al di là di questa quanto questa al di là della fisica.
Un epifenomeno è ciò che si aggiunge a un fenomeno.
Essendo l’epifenomeno spesso l’accidente, la patafisica sarà soprattutto la scienza del particolare, per quanto si dica che non vi è scienza se non del generale. Studierà le leggi che reggono le eccezioni e spiegherà l’universo supplementare a questo; o meno ambiziosamente descriverà un universo che si può vedere e che forse si deve vedere al posto del tradizionale, poiché anche le leggi dell’universo tradizionale che si è creduto di scoprire sono correlazioni d’eccezioni, per quanto più frequenti, in ogni caso fatti accidentali che, riducendosi a eccezioni poco eccezionali, non hanno nemmeno l’attrattiva della singolarità.
20050502
dopo
Dopo qualche giorno, il rumore di fondo di questi sentimenti rimane a inumidire tutto intorno e dentro. Non saprò mai se quello che è accaduto sia stato vero; non lo saprò mai. Forse vale la pena divertirsi a raccontare dei cunicoli maledetti che si intrecciano sotto la stazione Centrale FS della metropolitana di Milano. La Stazione Centrale possiede molto evidentemente un carattere esoterico. Le creature di una mitologia fantasiosa e oscura ne popolano fregi e doccioni, eppure queste non sono altro che innocuo simulacro di una gaia fantasia architettonica. Il centro del Male non si trova infatti nelle sue viscere e gli oscuri rimandi sulle tarsie dei pavimenti non coprono che indifesi magazzini ormai abbandonati e non troppo sudici: rinsecchiti del torbido dagli anni in disuso e dall’essere vuoti di vita, memori di commerci ormai in ricordo. Perché è la vita che è gravida del male e non la polvere delle cantine. Così è per la stazione della linea due della metropolitana; sotto la piazza, non sotto la stazione. E’ lì che si annida il mistero misterioso. C’è una porta appena sotto uno dei box contententi la fettuccia antincendio che si apre su una scala di roccia, con i gradini, dal settimo in giù, scolpiti a forma di teste d’animale. Le teste non sono oscuramente allegre come quelle che si affacciano sulla soprastante stazione: queste sono terrifiche davvero e a metterci i piedi sopra ti credi che un crepaccio ti morsichi un polpaccio. Io sono sceso senza vedere nulla anche se sapevo tutto, chè il male parla sempre con i suoi piccoli ed è per questo che la maniglia l’ho girata tremante. Arrivato alla base della scala c’è un corridoio tutto rivestito di pietra. Io immagino, devo immaginare, che quelle pareti siano rivestite da lastre di pietra ma fatto stà che di quelle lastre non ho visto soluzione di continuità e, seppure mi è difficile crederlo, quel corridoio pareva scavato in un unico sterminato blocco di basalto igneo. Il corridoio retto è spesso interrotto da pieghe ad angolo ottuso; alla fine di questo si apre una grande sala a forma di doppio triangolo e lì, al centro di quella stanza, proprio nel mezzo, c’è un foro da cui spunta una pertica. Se la sfioro ondeggia leggermente e mai fino a toccare il bordo del foro stretto. Si comporta come un bastone conficcato fermo nel terreno; solo che di quella pertica non si vede mai l’inizio. Io toccavo la pertica con la punta d’un dito e mi accorgevo in quell’istante del silenzio che c’era lì, fra gli spigoli contrapposti della stanza di pietra. Tanto che il Duca D’Aosta, la piazza, era impossibile e sotto il suo lastricato, al soffitto di quella sala, era inchiodato il cadavere d’una donna, una ragazza giovane e nuda con i capelli pendenti fermi davanti al viso. Mi sono scostato e mi sono chiesto come fosse possibile e perché tanta bellezza fosse decomposta e rovesciata sotto la città di Milano, così bella. Io camminavo là sotto e capivo che quel buio non era il rifugio di un branco di sbandati miseri che clandestinamente si fossero attrezzati la gelida cappella; quel corridoio e quelli scoperti dopo sono stati progettati fin dall’inizio, costruiti dall’autorità laica; e io?
20050419
20050417
20050414
20050403
20050401
20050330
20050328
La pancia
Ora che sono qui, con la pancia trafitta dalla staccionata di cemento, non ha più importanza che tu abbia voluto parlare con me o darmi quel bacio; ora non importa più. È successo come tante altre volte quando ho guardato giù e il fondo mi ha chiamato seducente. Il resto del volo è stato senza speranza e grave dell’improvviso rilassamento nel grande liberato ‘rinuncio’ pieno di pena. Ora non ha importanza che quella notte tu non ti sia spogliata, chissà perchè, spaventata dal mio volerti sobria e senza scuse al risveglio nuda. E non ha importanza che tu mi abbia usato, abbia usato di me, mettendomi a frutto quanto un contocorrente. Ora io non posso che disinteressarmi dei conti di cassa sul dare e sull’avere amore o amicizia. E di tutte le cose che ho scritto che importa se qualcuna sarà ricordata, se a qualcuno interessa non è certo a me visto che in un rantolo di vita mi chiedo senza dolore perchè io non riesca a muovere un mignolo e non penso affatto alle tue povertà di espressione. Penso a tutti i tu indistinti fuori di me; mi rivolgo a te e a te e a te, pure, mentre vedo bene quello che è sempre stato: ‘io’, che ora riconosco dal sangue che gocciola sull’aiuola bruna, e ‘tu’ che distinguo per sottrazione, tutto ciò che resta. Ci sei tu e tu e tu, pure. Tu che non mi ascoltavi, tu che non mi rispondevi, tu che non mi capivi, tu che mi amavi così tanto e poi non hai più potuto, tu che non hai avuto la forza e coraggio di spiegarmi il perchè. Siamo tre cose ora: Io che rivolo, Tu che guardi e non vedrai mai perchè mai hai visto, e Ora. Nell’ultimo equilibrio, contrappasso di vite e vite intere nell’indifferenza, l’universo sono solo le persiane viste capovolte dei due piani sotto a quello che era mio. Ho visto le tendine con quella piega scostata e un ricciolo che non ho potuto bene, la pioggia secca, l’intonaco annerito sotto il gocciolatoio, sotto, i fili dei panni di un verdino e di un rosa mi pare, un po’, la lampada gialla sopra la porta del cortile, la maniglia di ferro e una macchia di ruggine che mi sembrò a forma di uccello fino a un ‘uuh’ brutto, emesso sotto di me come scalzato da un paio di barre nelle viscere e tutto il cielo e tutto io e tutta tu che hai fatto economia di cose e ora davvero mentre muoio mi fai ridere e sbatto la faccia contro il muretto e là, muoio.
Mi assorbe la terra e il tempo mi f, mi relg di cirri, scordo i suoni e le voci restano a farsi compatire che tu non capirai e io resto a piangermi senza senso perchè dopo la fine perde valore pure l’inizio e così tutto quello che ho vissuto è tutto e solo. (Appiattito di terra e sangue guardami).
Mi assorbe la terra e il tempo mi f, mi relg di cirri, scordo i suoni e le voci restano a farsi compatire che tu non capirai e io resto a piangermi senza senso perchè dopo la fine perde valore pure l’inizio e così tutto quello che ho vissuto è tutto e solo. (Appiattito di terra e sangue guardami).
20050327
Ieri ho
Durante il viaggio in macchina di ieri ho chiamato quattro persone battendo contro tre stupidi muri di indifferenza. Ho trovato una sola risposta di gioia sincera e di bene ricambiato, il 'pronto' di mia nonna.
20050322
20050317
20050313
20050303
ho co
Oggi ho comprato: pane per sandwiches, insalata capricciosa, due pizze margherita surgelate, formaggio a fette con dentro pezzetti di prosciutto, una piccola gerbera in un vasetto di ceramica
20050225
20050212
Non mi
L’eccitazione oggi mi paralizza. Non faccio altro che pensare alla notte passata con te a desiderarti. Non c’è molto altro da dire perché quello che mi riempie di immagini è un turbine immobile di sesso non fatto, immaginato con le mani sotto i tuoi vestiti e gli occhi sugli occhi a parlarti del tuo viso, a fare lo specchio parlante. Non mi pare che ci sia respiro sufficiente oggi e non so che fare. Vieni a liberarmi, liberata dagli abiti, spogliati, continua a dire, e io allora potrò parlarti di quello che pensi, come vuoi tu. Solo se ti spogli saprò parlarti e ascoltare pensarti. Sono senza scampo mi pare e ingoio l’idea di impotenza, del dover aspettare che i miei desideri smettano di tormentarmi finalmente e si materializzino sotto le tue mani e nelle tue parole. Quello che hai innescato in me ieri notte è qualcosa che non conosco, una voglia nuova, una cosa da ascoltare guardare senza capire, il significante staccato dal significato. Io vedo la tua immagine e so le parole che hai detto ma gli usuali collegamenti neurali dell’innesco del senso da conferire a ciò che si guarda non avvengono, nello splendore del desiderio immobile. Forse tutto, le tue parole e tu nuda, è congelato nella tua bocca semiaperta con le labbra protese nell’atto di parlare che da ieri per me è tutt’uno con il baciare e con l’ascoltare. Fare l’amore e sentirti, capire, voglio.
20050210
Nell
Nella tua stanza di ragazza si consuma una tragedia; la tragedia della tua bellezza e della tua grazia innate che si infrangono con il brutto e col quotidiano. Il tormento è nei tessuti poveri e grigi che non si intonano con la tua pelle preziosa ed è, in verità, nell’assenza in tutta la natura di una stoffa, che sia seta oppure oro intessuto, che possa accettarsi quale degno vestito del tuo corpo. Questo avviene perché non esiste filato che sia dotato di intrinseco senso, che viva di desiderio, che sia bagnato di pensiero come avviene per le tue braccia e mani e occhi e capelli.
20050209
Sono di vedetta stasera
Sono di vedetta stasera. Con il piantone abbiamo tirato a sorte ed è toccato a me rimanere sveglio a guardare il buio con i suoi movimenti e i suoi imbrogli. Il fucile non mi pesa e nemmeno il freddo, ho messo due paia di calze spinose sotto gli scarponi e una sciarpa sotto il bavero del cappotto, i guanti con le mezze dita per stare sul grilletto e due maglie di lana sotto la giacca. Per il freddo e la noia basta questo ma rimane di dover stare svegli senza ragione a guardare nel buio senza abbassare lo sguardo, bisogna guardare fisso negli occhi il nero e se cedi il caporale si ricorda presto di te al momento di assegnare altri sguardi intorno notturni. Il percorso di vedetta non è lungo, gira intorno ai terrazzi e puoi sostare ogni sei giri sotto al cornicione nell’illusione che lì l’umido smetta di gelarsi sulla barba. Dormono tutti tranne le altre guardie, all’arsenale e alla polveriera, ma quassù sono il solo a stare in alto in vista del nemico oltremare. Non ho detto che dal nero proviene forte e freddo il rumore delle onde del mare, è l’unico segno che il nero non sia del tutto schiacciato sulle labbra o la fronte o appena oltre la lanterna che pende dal cornicione. Il vento e il rumore vengono contro il fucile e io li spartisco nella ronda. Girare intorno è ipnotico e il senso dell’attesa riempie per intero i pensieri. Ora mi sono fermato, il fucile in una mano a sfiorare la gronda, e guardo qui sopra il mio naso nel nero, se sia una folata di freddo o un alito gelido non saprei ma punto il fucile in avanti e dico deciso l’ “halt holà!”. Pianto i piedi, imbraccio e traguardo il mirino, armo il caricatore e ripeto disperato: “halt holà!”. Ora dovrei sparare un colpo in aria, ricaricare e ripetere l’halt prima di uccidere. Ma il codice militare mi consente di uccidere subito in caso di concreta e immediata minaccia della sicurezza dell’installazione. Il freddo è tutt’uno con il cappotto e ricopre di brina le cuciture che ora scricchiolano alla mia tensione disciolta. Sparo al buio e al nero, al freddo e al mare, che si sfilino, inanellati com’erano alla canna del fucile che ora brucia e sputa fumo acre e polvere da sparo. Io avevo detto “ferma”, “fermati, immobile! Non andare né avanti né indietro, fermati, rientra nel nero o ti uccido. Fermati e ricacciati dietro al nero, rimani immobile nel luogo più cupo nel t senza frazioni. Zitta, ti sparo, morirai perché hai preteso essere; notte scellerata senza tempo, emersa dagli inferi, ardita fino all’insanguinarti inflitta la mia baionetta.
20050125
Le mie non-ragazze
La prima chiede: "E se leggessi Bukowski?". Avrebbe dovuto leggere
Peter Pan, portava quegli stivaletti di pelle morbida sulle caviglie.
Saltellava incerta da un titolo all'altro e la sua amica con qualche
sguardo, un po' più in là, rispondeva. Io in libreria guardo quasi mai
i libri perché mi distraggono gli altri fatti, tengo in mano un libro
preso a caso e mi casco a vedere intorno a testa alta. Mi guarda
distratto d'un tratto il mondo intero, biondo, in sembianze di
giovane e bella. Non esiste altro e io sono rapito con l'ugola seccata
e gli occhi che si aprono piano, ciechi d'istinto. Abbasso lo sguardo
che già mi pare indecente e per pudore ricado nei libri sotto a quello
che tengo in mano, non ne guardo nessuno mentre lei che è
appena qui mi si avvicina guardando i titoli bassi e mi porta il mio
cuore fino alla gola. Io guardo ora e senza ritegno le gambe e le
calze sotto la gonna corta e il cappotto bianco a lane intrecciate e
non mi levo, mi fisso su "lana 60 per cento viscosa 40 per cento" a
lettere oro sotto la sciarpa, sulla maglia nera, sul seno. Qualunque
cosa tu stia facendo smetti di farla, le avrei detto, fermati dal
piegarmi lo spazio dietro le spalle mentre guardi calma celeste tutto
d'intorno, e il mio mondo ti scivola intero senza lasciarne che
briciola sui capelli biondi fino alla schiena. Fermati ti prego perché
non so che restare immobile morbide a sentirti dietro la nuca e poi
qui accanto mentre mi guardi le mani e mi oltrepassi intorno per
trovarti oltre vicine le gote. Non c'è niente e niente intorno, non
libri, non altre, non cose, non nulli.
Il senso dolce e amaro del tuo essere non-mia è nella tua sparizione,
nel tuo non esistere ora; come specchio umido di fiati rosso, riflesso
di labbra che sanno delle mie.
Quando non c'eri sono ricomparse le due amiche fra i libri a giocare a
sguardi con me. Abbiamo percorso un tratto della strada per casa
insieme e abbiamo anche giocato a farci sentire gli uni gli altri a
qualche metro di distanza. Di loro mi resta il viso di scorcio e un
angolo dietro il vetro salite sul tram.
A Milano a camminare e un viso in un lampo, i capelli rossi pettinati
a caschetto e gli occhi contornati, visti per un attimo, con la
matita. Ancora, passo dietro passo, a parlare fra le tante fino ad
entrare in un locale dove canta una donna. Quando mi giro intorno
trovo il viso vicino di una bambina con i capelli rossi che mi guarda
ad ascoltare la musica. Trovo un posto in un angolo e quando torno per
parlare col barman incontro il profilo bianco di una ragazza che
sembra inglese nei modi e nel guardare gentile il giovane di fronte,
nell'annuire composto e finanche nello sbattere le palpebre come
rallentato e sempre indifferente al mio; sempre e nemmeno per un
attimo sono esistito per lei e se, per un istante, noi ci siamo guardati
lo scambio è parso un privilegio prezioso ma rubato, pagato con la sua
assenza ad un passo da me, verso l'uscita. Ecco le mie
non-ragazze di notte fino alla mattina mentre mi lasciano tutte, sono
mie più di quanto non appartengano a loro stesse, fin dalla loro
sparizione in un tuffo si fanno la rosa ordinata della mia visione
unica attraverso la quale tutto esiste. Non posso non pensare a te,
mia amata V, tu pure sei fatta della vita senza giorni che coltivo
lì nel mio essere, nel fondo di me, dove nel buio non c'è né
giorni né tempo. Ma ora ti vorrei qui, affiorata a toccarmi senza
paura di toccarti di vita perché ormai ti ho nutrita dei miei
pensieri e ogni cellula e citoplasma e saliva è.
Peter Pan, portava quegli stivaletti di pelle morbida sulle caviglie.
Saltellava incerta da un titolo all'altro e la sua amica con qualche
sguardo, un po' più in là, rispondeva. Io in libreria guardo quasi mai
i libri perché mi distraggono gli altri fatti, tengo in mano un libro
preso a caso e mi casco a vedere intorno a testa alta. Mi guarda
distratto d'un tratto il mondo intero, biondo, in sembianze di
giovane e bella. Non esiste altro e io sono rapito con l'ugola seccata
e gli occhi che si aprono piano, ciechi d'istinto. Abbasso lo sguardo
che già mi pare indecente e per pudore ricado nei libri sotto a quello
che tengo in mano, non ne guardo nessuno mentre lei che è
appena qui mi si avvicina guardando i titoli bassi e mi porta il mio
cuore fino alla gola. Io guardo ora e senza ritegno le gambe e le
calze sotto la gonna corta e il cappotto bianco a lane intrecciate e
non mi levo, mi fisso su "lana 60 per cento viscosa 40 per cento" a
lettere oro sotto la sciarpa, sulla maglia nera, sul seno. Qualunque
cosa tu stia facendo smetti di farla, le avrei detto, fermati dal
piegarmi lo spazio dietro le spalle mentre guardi calma celeste tutto
d'intorno, e il mio mondo ti scivola intero senza lasciarne che
briciola sui capelli biondi fino alla schiena. Fermati ti prego perché
non so che restare immobile morbide a sentirti dietro la nuca e poi
qui accanto mentre mi guardi le mani e mi oltrepassi intorno per
trovarti oltre vicine le gote. Non c'è niente e niente intorno, non
libri, non altre, non cose, non nulli.
Il senso dolce e amaro del tuo essere non-mia è nella tua sparizione,
nel tuo non esistere ora; come specchio umido di fiati rosso, riflesso
di labbra che sanno delle mie.
Quando non c'eri sono ricomparse le due amiche fra i libri a giocare a
sguardi con me. Abbiamo percorso un tratto della strada per casa
insieme e abbiamo anche giocato a farci sentire gli uni gli altri a
qualche metro di distanza. Di loro mi resta il viso di scorcio e un
angolo dietro il vetro salite sul tram.
A Milano a camminare e un viso in un lampo, i capelli rossi pettinati
a caschetto e gli occhi contornati, visti per un attimo, con la
matita. Ancora, passo dietro passo, a parlare fra le tante fino ad
entrare in un locale dove canta una donna. Quando mi giro intorno
trovo il viso vicino di una bambina con i capelli rossi che mi guarda
ad ascoltare la musica. Trovo un posto in un angolo e quando torno per
parlare col barman incontro il profilo bianco di una ragazza che
sembra inglese nei modi e nel guardare gentile il giovane di fronte,
nell'annuire composto e finanche nello sbattere le palpebre come
rallentato e sempre indifferente al mio; sempre e nemmeno per un
attimo sono esistito per lei e se, per un istante, noi ci siamo guardati
lo scambio è parso un privilegio prezioso ma rubato, pagato con la sua
assenza ad un passo da me, verso l'uscita. Ecco le mie
non-ragazze di notte fino alla mattina mentre mi lasciano tutte, sono
mie più di quanto non appartengano a loro stesse, fin dalla loro
sparizione in un tuffo si fanno la rosa ordinata della mia visione
unica attraverso la quale tutto esiste. Non posso non pensare a te,
mia amata V, tu pure sei fatta della vita senza giorni che coltivo
lì nel mio essere, nel fondo di me, dove nel buio non c'è né
giorni né tempo. Ma ora ti vorrei qui, affiorata a toccarmi senza
paura di toccarti di vita perché ormai ti ho nutrita dei miei
pensieri e ogni cellula e citoplasma e saliva è.
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