Sereo eoi limbte, olifar mosere noibidung fregifis. Resemel, zezetiuop.

20050328

La pancia

Ora che sono qui, con la pancia trafitta dalla staccionata di cemento, non ha più importanza che tu abbia voluto parlare con me o darmi quel bacio; ora non importa più. È successo come tante altre volte quando ho guardato giù e il fondo mi ha chiamato seducente. Il resto del volo è stato senza speranza e grave dell’improvviso rilassamento nel grande liberato ‘rinuncio’ pieno di pena. Ora non ha importanza che quella notte tu non ti sia spogliata, chissà perchè, spaventata dal mio volerti sobria e senza scuse al risveglio nuda. E non ha importanza che tu mi abbia usato, abbia usato di me, mettendomi a frutto quanto un contocorrente. Ora io non posso che disinteressarmi dei conti di cassa sul dare e sull’avere amore o amicizia. E di tutte le cose che ho scritto che importa se qualcuna sarà ricordata, se a qualcuno interessa non è certo a me visto che in un rantolo di vita mi chiedo senza dolore perchè io non riesca a muovere un mignolo e non penso affatto alle tue povertà di espressione. Penso a tutti i tu indistinti fuori di me; mi rivolgo a te e a te e a te, pure, mentre vedo bene quello che è sempre stato: ‘io’, che ora riconosco dal sangue che gocciola sull’aiuola bruna, e ‘tu’ che distinguo per sottrazione, tutto ciò che resta. Ci sei tu e tu e tu, pure. Tu che non mi ascoltavi, tu che non mi rispondevi, tu che non mi capivi, tu che mi amavi così tanto e poi non hai più potuto, tu che non hai avuto la forza e coraggio di spiegarmi il perchè. Siamo tre cose ora: Io che rivolo, Tu che guardi e non vedrai mai perchè mai hai visto, e Ora. Nell’ultimo equilibrio, contrappasso di vite e vite intere nell’indifferenza, l’universo sono solo le persiane viste capovolte dei due piani sotto a quello che era mio. Ho visto le tendine con quella piega scostata e un ricciolo che non ho potuto bene, la pioggia secca, l’intonaco annerito sotto il gocciolatoio, sotto, i fili dei panni di un verdino e di un rosa mi pare, un po’, la lampada gialla sopra la porta del cortile, la maniglia di ferro e una macchia di ruggine che mi sembrò a forma di uccello fino a un ‘uuh’ brutto, emesso sotto di me come scalzato da un paio di barre nelle viscere e tutto il cielo e tutto io e tutta tu che hai fatto economia di cose e ora davvero mentre muoio mi fai ridere e sbatto la faccia contro il muretto e là, muoio.

Mi assorbe la terra e il tempo mi f, mi relg di cirri, scordo i suoni e le voci restano a farsi compatire che tu non capirai e io resto a piangermi senza senso perchè dopo la fine perde valore pure l’inizio e così tutto quello che ho vissuto è tutto e solo. (Appiattito di terra e sangue guardami).

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