Sereo eoi limbte, olifar mosere noibidung fregifis. Resemel, zezetiuop.
20050209
Sono di vedetta stasera
Sono di vedetta stasera. Con il piantone abbiamo tirato a sorte ed è toccato a me rimanere sveglio a guardare il buio con i suoi movimenti e i suoi imbrogli. Il fucile non mi pesa e nemmeno il freddo, ho messo due paia di calze spinose sotto gli scarponi e una sciarpa sotto il bavero del cappotto, i guanti con le mezze dita per stare sul grilletto e due maglie di lana sotto la giacca. Per il freddo e la noia basta questo ma rimane di dover stare svegli senza ragione a guardare nel buio senza abbassare lo sguardo, bisogna guardare fisso negli occhi il nero e se cedi il caporale si ricorda presto di te al momento di assegnare altri sguardi intorno notturni. Il percorso di vedetta non è lungo, gira intorno ai terrazzi e puoi sostare ogni sei giri sotto al cornicione nell’illusione che lì l’umido smetta di gelarsi sulla barba. Dormono tutti tranne le altre guardie, all’arsenale e alla polveriera, ma quassù sono il solo a stare in alto in vista del nemico oltremare. Non ho detto che dal nero proviene forte e freddo il rumore delle onde del mare, è l’unico segno che il nero non sia del tutto schiacciato sulle labbra o la fronte o appena oltre la lanterna che pende dal cornicione. Il vento e il rumore vengono contro il fucile e io li spartisco nella ronda. Girare intorno è ipnotico e il senso dell’attesa riempie per intero i pensieri. Ora mi sono fermato, il fucile in una mano a sfiorare la gronda, e guardo qui sopra il mio naso nel nero, se sia una folata di freddo o un alito gelido non saprei ma punto il fucile in avanti e dico deciso l’ “halt holà!”. Pianto i piedi, imbraccio e traguardo il mirino, armo il caricatore e ripeto disperato: “halt holà!”. Ora dovrei sparare un colpo in aria, ricaricare e ripetere l’halt prima di uccidere. Ma il codice militare mi consente di uccidere subito in caso di concreta e immediata minaccia della sicurezza dell’installazione. Il freddo è tutt’uno con il cappotto e ricopre di brina le cuciture che ora scricchiolano alla mia tensione disciolta. Sparo al buio e al nero, al freddo e al mare, che si sfilino, inanellati com’erano alla canna del fucile che ora brucia e sputa fumo acre e polvere da sparo. Io avevo detto “ferma”, “fermati, immobile! Non andare né avanti né indietro, fermati, rientra nel nero o ti uccido. Fermati e ricacciati dietro al nero, rimani immobile nel luogo più cupo nel t senza frazioni. Zitta, ti sparo, morirai perché hai preteso essere; notte scellerata senza tempo, emersa dagli inferi, ardita fino all’insanguinarti inflitta la mia baionetta.
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